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JONE BERTOCCHI UNA VITA PER LA SUA TERRA PROMESSA

Si è spenta in questi giorni la pediatra Jone Bertocchi, un pezzo di storia della famiglia Cuamm che si stringe tutta intorno ai familiari, agli amici e ai compagni di strada che hanno conosciuto la sua passione e dedizione per quel fazzoletto di terra incastonato nel cuore profondo dell’Africa.

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    «All’inizio rimanevo stupita di fronte a certi atteggiamenti, a certe reazioni che non comprendevo perché non rientravano assolutamente nella logica della nostra mentalità: per esempio la reazione di una madre che vede morire il proprio bambino e che si traduce in una danza solitaria, tragica e violenta; le interpretavo all’inizio come scene isteriche, le paragonavo a certe manifestazioni delle nostre donne del Sud (ma mi domando adesso se le avevo mai osservate bene queste nostre donne, voglio dire, con partecipazione umana, o se non mi ero sempre fermata semplicemente all’aspetto esteriore); sentivo anche un certo disagio e una certa insofferenza per questo dolore che rompe violentemente l’ordine e la tranquillità e imponevo, molte volte imperiosamente, il silenzio per rispettare la quiete degli altri pazienti; ma a mano a mano che queste scene mi sono diventate familiari e che vedevo esplodere situazioni diverse, mi sono resa conto della carica di umanità che esse riflettono, un’umanità spontanea, semplice, naturale che esiste ancora in questa gente e che in noi invece è soffocata, repressa, costretta entro i limiti rigorosi della ragione, quasi violentata: mi domando certe volte se la donna che danza davanti al suo bambino morto non esprima quei sentimenti che tutti più o meno abbiamo provato, come il dolore, l’angoscia, di fronte al mistero e all’ingiustizia della morte, in modo molto più semplice, più vero e più umano di tante poesie e di tanti libri che sono stati scritti a questo proposito».

    Scriveva così, nel 1976, da Uromi in Nigeria, la pediatra Jone Bertocchi in una lettera indirizzata al Professor Canova.

    Era partita un anno prima per quel paese dove sarebbe rimasta appena tre anni, tra le colline di Obudu, prima di fare ritorno in Repubblica Centrafricana, la sua terra promessa.

    «Come in tutte le terre promesse non c’è né latte né miele: ci sono tante difficoltà, tanto lavoro e tanta gente che ha bisogno di me. Il latte e il miele saranno, credo, il futuro del nostro lavoro: domani, o tra vent’anni e forse noi non lo vedremo mai. La speranza ci illumina la strada e ci aiuta ad andare avanti».

    Aveva conosciuto quell’angolo di Africa “povero e bruciato dal sole” anni prima, durante un viaggio e lo aveva serbato nel cuore fino al 1978 quando sarebbe finalmente tornata, per stare al fianco delle mamme e dei bambini di Ngaoundaje, una terra di confine, in quell’ultimo miglio in cui aveva scelto di spendere la sua vita.

    Oggi ci stringiamo ai familiari, agli amici e ai compagni di strada che hanno conosciuto la passione e la dedizione di Jole per quel fazzoletto di terra incastonato nel cuore profondo dell’Africa. Una terra ancora senza latte né miele dove continuiamo ad impegnarci guidati dalla sua stessa speranza.