Dignità e resilienza con adeguati percorsi di cura
Restituire dignità a chi ha esperienze di vita traumatiche e, insieme, allenare pratiche di resilienza e percorsi verso un futuro. Lo mostra la storia di Esther Amena, donna rifugiata sud-sudanese in Uganda.
Restituire dignità a chi ha esperienze di vita traumatiche e, insieme, allenare pratiche di resilienza e percorsi verso un futuro. Lo mostra Esther Amena, una donna di 36 anni, rifugiata sud-sudanese, che vive nel campo per sfollati e rifugiati di Imvepi, nel Distretto di Terengo in Uganda, con 5 figli e altri due bambini a carico. Le sue fragili condizioni di salute mentale avevano cominciato a manifestarsi nel 2006 in Sud Sudan, poi, all’arrivo in Uganda nel 2007, è stata abbandonata dal marito che temeva potesse trasmettere le sue problematiche di salute mentale ai figli.
«Ho avuto problemi di salute mentale anche in Sud Sudan, ma mi ero ripresa. La ricaduta è avvenuta quando tutti i miei sei fratelli sono stati massacrati durante la guerra tribale», ha raccontato Esther.
È stato solo nel campo di Imvepi che Esther ha cominciato a stare meglio quando ha avuto la possibilità di avere accesso ai servizi di supporto per la salute mentale promossi da “Iniziativa inclusiva di emergenza per rafforzare i servizi sanitari e le pratiche igieniche nelle comunità rifugiate e ospitanti in West Nile, Uganda”, un progetto finanziato dall’Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e implementato da Cuamm in collaborazione con CBM International e l’Ong locale Community Empowerment for Rural Development (Ceford).
«L’infermiera mi ha parlato dell’iniziativa che il Cuamm stava implementando per il rafforzamento dei servizi sanitari e le pratiche igieniche nelle comunità di rifugiati e in quelle ospitanti nel West Nile, sottolineando l’attenzione per le categorie fragili e anche le persone con problemi di salute mentale», ha spiegato Esther.
Grazie ad una formazione sulla gestione della salute mentale a livello comunitario, Esther è diventata una figura di riferimento e supporto per altri membri della comunità, in particolare con situazioni di fragilità mentale.
«Oggi, con le conoscenze acquisite posso sensibilizzare altre persone, anche condividendo la mia storia. Effettuo visite a domicilio e seguo le persone per assicurarmi che assumano i loro farmaci. Indirizzo i casi più gravi alle strutture sanitarie per ottenere supporto. Grazie anche allo stipendio che ricevo, posso provvedere alla mia famiglia. Mi piacerebbe poter avere un certificato per dimostrare la mia preparazione e il lavoro fatto insieme a Cuamm così, quando torneremo in Sud Sudan, potrò dare supporto mentale alle persone colpite dalla guerra», ha concluso.
Iniziato a settembre 2023, l’intervento coinvolge sia la popolazione di rifugiati nell’area sia quella ospitante contribuendo al miglioramento dei servizi di salute e di igiene, con una particolare attenzione per le categorie più fragili, donne, bambini e persone con disabilità. Dall’inizio del progetto, sono stati 2.777 i parti assistiti, 92 i riferimenti per complicanze ostetriche, 90 i casi chirurgici assistiti e 1.257 i pazienti operati per fratture e condizioni muscolo-scheletriche. E ancora, l’iniziativa dedica particolare attenzione alle persone come Esther che si confrontano con problemi di salute mentale: ad oggi sono 307 i pazienti supportati.
Questo impegno non sarebbe possibile senza la partecipazione attiva di 277 operatori di salute comunitaria formati, anche per offrire supporto psicosociale, e delle comunità stesse. Nel corso di questi mesi sono state raggiunte 14.585 persone attraverso le attività di outreach e sensibilizzazione, contribuendo anche a raggiungere una copertura vaccinale oltre il 100% per i bambini al di sotto di un anno di età e riducendo significativamente la mortalità per malaria, all’0,08% nell’area di intervento.
«Desideriamo che questo progetto sia trasformativo. L’impegno non si limita a migliorare la salute e l’igiene, ma mira a restituire dignità, costruire resilienza e creare percorsi verso un futuro più sano per le comunità di rifugiati e quelle ospitanti del West Nile», ha concluso Joseph Katetemera, consulente tecnico Cuamm in West Nile.