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Da Udine a Freetown L’esperienza di una specializzanda

Alessia è una giovane specializzanda in Ginecologia presso l’Università di Udine. Grazie al Cuamm e anche al sostegno della Fondazione Friuli, ha potuto trascorrere sei mesi in Sierra Leone, lavorando nella più grande maternità del paese. Un periodo intenso e ricco di esperienze.

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    Sei mesi a Freetown, in una grande Maternità come il Princess Christian Maternity Hospital, in Sierra Leone ti segnano. Soprattutto se sei una giovane specializzanda in Ginecologia e in questo ospedale, nel 2022 sono stati eseguiti 7.803 parti. «È una realtà completamente diversa dalla nostra, sia dal punto di vista professionale che da quello umano. Ho lavorato in un ospedale con 125 posti letto, senza acqua corrente e con la corrente elettrica che spesso saltava ed era garantita solo in sala parto. Eppure, nonostante questi e altri limiti, è stata un’esperienza straordinaria, che consiglio a tutti gli specializzandi».

     

    Alessia Sala, è originaria di Milano, ha 32 anni, ha studiato Medicina a Trieste e si sta specializzando presso l’Università di Udine. È appena rientrata dalla Sierra Leone dove ha trascorso 6 mesi, facendo un tirocinio inserita in un progetto di Medici con l’Africa Cuamm e grazie al sostegno della Fondazione Friuli che ha coperto le spese del suo viaggio e della sua permanenza.

     

    «Ho imparato tantissimo, soprattutto dal mio tutor, il dottor Nitsuh, nei confronti del quale ho una stima immensa, così come del dott. Alberto Rigolli, cooperante Cuamm di lunga esperienza, che mi ha aiutato ad ambientarmi e orientarmi nel primo periodo. Ho fatto interventi che in Italia non avrei mai fatto, per esempio, i parti podalici e ho imparato a gestire situazioni con pochi mezzi e una medicina frugale che di sicuro mi saranno utili anche nel lavoro qui. Soprattutto ho riscoperto una medicina più “umana”, più a contatto diretto con il paziente, con la persona nel suo insieme», racconta al rientro dall’Africa.

     

     

    «Quello che porto nel cuore è la grandissima riconoscenza che tutte le donne, le pazienti, hanno sempre verso i medici, anche se le cose non vanno bene. Ti ringraziano sempre e comunque perché ti sei preso cura di loro e sanno che hai fatto tutto quello che potevi, per salvare la loro vita e quella del loro bambino. Come nel caso di Fatmata. Una giovane donna che sapeva nemmeno la sua età. Non parlava inglese, solo Crio, il dialetto locale. Era quindi sempre accompagnata dal marito. Aveva già perso tre bambini e l’abbiamo ricoverata perché la gravidanza era a rischio, aveva anche il diabete. Mi ha presa come riferimento e assieme al marito mi cercava e chiedeva sempre di me. Si fidavano ed è nata una vera amicizia, ci sentiamo anche ora. Quando ha partorito ho trovato l’utero in una situazione davvero a rischio, a causa dei tre cesarei pregressi. Alla fine è nata una bambina che hanno chiamato Alessia. Per me è stata una gioia immensa, un profondo senso di gratitudine. Erano così felici. Anche dopo che era stata dimessa, veniva a trovarmi in ospedale, si sedeva vicino a me e anche se non parlava inglese, comunque mi manifestava la sua amicizia con i suoi gesti e sorrisi. Ancora oggi mi manda le foto di come sta crescendo la piccola Alessia di Freetown». E prosegue: «Di bambini ne muoiono tanti, tantissimi. Anche due o tre al giorno. Non ti ci abitui. Ma vedere morire una mamma è stato ancora più duro. Muoiono giovanissime, per problemi che si potrebbero facilmente risolvere, talvolta manca il sangue, (che in Italia diamo per scontato) talvolta arrivano troppo tardi in ospedale, in alcuni casi è mala gestione. La cosa più difficile da accettare è questo: che non puoi fare nulla per salvarli».

    Ora davanti a sé, Alessia ha l’impegno di completare la Specialità all’Università di Udine e poi chissà che le strade non la portino ancora in Africa, in prima linea per la salute di mamme e bambini, lì dove c’è tanto bisogno.