Medici con l'Africa Cuamm

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Coronavirus in Africa Etiopia

Undici casi di Coronavirus confermati ad oggi; scuole chiuse per due settimane; controlli in aeroporto; campagne di sensibilizzazione della popolazione sulle buone pratiche da adottare per non diffondere il virus: sono alcune delle misure che l’Etiopia sta prendendo per prepararsi alla possibile diffusione del Covid-19. Medici con l’Africa Cuamm ha attualmente 16 operatori espatriati, tra sanitari e non, impegnati in 4 ospedali e nei territori di riferimento, in 35 centri di salute, per dare assistenza a tre regioni e a una popolazione di oltre 1 milione e mezzo di persone.

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    “In un ospedale di Addis Abeba, dove come Cuamm già operiamo da tempo, è stato allestito un centro per la quarantena da Coronavirus; il Governo sta predisponendo dei tavoli tecnici per far fronte all’eventuale diffusione e noi vi prenderemo parte – spiega Chiara Biffi, responsabile dei progetti Cuamm nel paese –. Nel nostro piccolo, nell’ufficio Cuamm stiamo adottando delle precauzioni, dall’uso di mascherine all’evitare i mezzi pubblici per venire al lavoro, dal lavarci le mani spesso, ad annullare le missioni di valutazione sul campo, perché venendo da Addis potremmo essere “portatori” del virus, senza saperlo e volerlo”. E prosegue: “Non sono spaventata, sono preoccupata per l’Italia, per i miei genitori che vivono a Codogno e quindi dal 21 febbraio sono isolati e io mi trovo così lontana da loro. Ora non me la sentirei di tornare in Italia, anche se il timore di prendersi il Coronavirus e di essere “ricoverati” nelle strutture che ci sono qui, è alto. A questo si aggiunge la diffidenza verso lo straniero che sta aumentando molto e in capitale ci sono stati episodi pesanti, di gente che ha lanciato sassi contro bianchi. Questo non aiuta”.

    Timori che ci sono anche a Wolisso, dove si trova l’ospedale San Luca e dove il Cuamm opera dal 2001. “Purtroppo qui inizialmente si è diffusa tra la popolazione l’opinione che il virus sia portato dagli stranieri e quindi siamo guardati con diffidenza, quasi fossimo degli untori. Non conviene uscire dal compound dell’ospedale e anche per fare la spesa al mercato, bisogna mandare collaboratori locali. Straniero con corona: è l’appellativo che ci sentiamo rivolgere. Ora ancora la situazione è sotto controllo, ma non sappiamo come potrà reagire la gente – spiega Stefano Santini, medico Cuamm impegnato come direttore sanitario dell’ospedale San Luca –. In ospedale ci stiamo attrezzando bene, per quello che possiamo. C’è una buona collaborazione tra di noi e con lo staff locale. Abbiamo inviato una lettera alle autorità locali in modo che siano informate di quello che potrebbe succedere in caso di scoppio dell’epidemia; stiamo predisponendo una tenda per il triage, all’ingresso dell’ospedale così che i malati con sintomi compatibili con il Coronavirus siano visitati lì ed eventualmente indirizzati verso la stanza predisposta per l’isolamento; abbiamo limitato l’accesso all’ospedale, in modo che il malato sia accompagnato solo da un famigliare e non da più persone come succede qui di solito; stiamo anche formando il personale sanitario locale in modo che adotti le procedure corrette”. “Certo, l’ospedale San Luca non ha una terapia intensiva, quello che potremo offrire è un trattamento di forme leggere, possiamo fare diagnosi, non con i tamponi, ma con strumenti clinici per capire se un caso è compatibile o meno con Coronavirus, e poi potremo dare un po’ di supporto con l’ossigenoterapia. Altro non si potrà fare, purtroppo”.

    E conclude, Stefano Santini: “In 30 anni e più di Africa non mi sono mai trovato in una situazione come questa. In Italia c’è una situazione difficile e ti chiedi se potresti essere utile lì. Purtroppo da qui, si ha la percezione che tutti, dai cinesi agli italiani, all’Europa, si siano mossi troppo tardi, quando i buoi erano già usciti dal recinto. Il problema è che si spera sempre nel miracolo, che il peggio non arrivi e non capiti proprio a noi. Pensiamo e agiamo sul qui e ora, in realtà dovremmo imparare a ragionare con l’ottica del futuro e di quello che può succedere da qui ai prossimi dieci giorni”.

    Foto: © WHO/Otto B.