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Le ambulanze che non si fermano mai

Le voci di Cristina e di Marcello, infermiera e capoprogetto a Beira, in Mozambico, dove le ambulanze non si fermano mai, perché sono soltanto tre a fare da riferimento per ben quindici unità sanitarie.

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    Tre ambulanze operative che coprono 15 unità sanitarie, tutte quelle della città di Beira nella provincia di Sofala, in Mozambico. Si occupano di trasferire le urgenze e le emergenze dalle unità sanitarie periferiche all’ospedale centrale della città, un servizio fondamentale iniziato subito dopo il ciclone Idai e che continua ancora oggi anche grazie al progetto “UR-BEIRA: rafforzamento dei servizi di emergenza urgenza medica nella città di Beira”. L’intervento, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, è implementato da Medici con l’Africa Cuamm, con la collaborazione di diversi attori: la Regione Veneto in partenariato con il Servizio distrettuale della Salute della città di Beira, il Servizio di emergenza medica del Ministero della Salute del Mozambico, l’Ospedale Centrale di Beira, l’Università Ca’ Foscari di Venezia e la P.O. Croce Verde di Padova.

    Medici, infermieri, assistenti infermieristici, autisti soccorritori sono in prima linea, insieme, ogni giorno, con l’obiettivo di salvare vite umane. Dal febbraio 2022, sono 750 in media i trasferimenti mensili, il 60% circa sono emergenze ostetriche, neonatali e pediatriche, ma anche emergenze medico-chirurgiche, in generale. «Lavoriamo in ogni condizione, senza risparmiarci, per garantire la sicurezza dei nostri pazienti – racconta Cristina Zinguessa José Zaqueu Macucha, infermiera di salute materno-infantile assegnata all’ambulanza del centro di salute di Chingussura -. Il lavoro in ambulanza è davvero impegnativo. Siamo tutti professionisti preparati e qualificati, ma ogni emergenza è una storia a sé. Un momento soccorriamo pazienti in gravi condizioni, un altro Dio ci benedice con un parto che assistiamo in ambulanza. Ciò che facciamo è gratificante, aiutiamo tanti bambini nati prematuri ad arrivare vivi al reparto di Neonatologia dell’ospedale, incoraggiamo le mamme al contatto pelle a pelle con il neonato, in alcuni casi somministriamo ossigeno e controlliamo sempre i parametri vitali. Non sempre le nostre attività vanno come vorremmo, abbiamo anche giorni tristi. Quando non riusciamo a far arrivare in ospedale i nostri pazienti vivi è doloroso – continua Cristina -. Ogni “professionista dell’emergenza” ha tante storie da raccontare, alcune tristi e altre allegre, che danno la forza per continuare il lavoro. Più volte abbiamo ricevuto e trasferito pazienti in condizioni critiche, ma grazie al rapido intervento di alcuni colleghi dell’ospedale di Beira, questi pazienti si sono ripresi».

    Le emergenze non hanno orario e quando arrivano, spesso, lo fanno tutte insieme. Un martedì di qualche settimana fa è stato uno di quei giorni in cui le ambulanze a Beira non si sono fermate mai. «Quando le attività in ufficio me lo permettono, mi piace accompagnare i colleghi durante il servizio in ambulanza. È lì che si ritrova davvero il senso di ciò che facciamo – racconta Marcello Mazzotta, capoprogetto del Cuamm a Beira -. Martedì era uno di quei giorni e tra i tanti trasferimenti fatti, c’è stato quello di un neonato prematuro che pesava circa 1 kg e per questo necessitava dell’incubatrice e di supporto per respirare. Così, abbiamo portato lui e la mamma rispettivamente alla Neonatologia e alla Maternità dell’ospedale di Beira per ricevere l’assistenza necessaria. Nel tragitto l’infermiera dell’ambulanza ha messo il piccolo a contatto con il petto della mamma, praticando la kangaroo mother care, il contatto pelle a pelle che favorisce l’adattamento del bambino al mondo esterno, il suo sviluppo e anche l’allattamento al seno. Grazie a quel gesto così semplice, il piccolo è arrivato in ospedale con una temperatura corporea vicina a quella normale».

    Ogni ambulanza, ogni unità sanitaria e quattro reparti dell’ospedale di Beira sono dotati di un telefono cellulare con credito mensile. Ogni centro di salute ha un’ambulanza di riferimento in base alla sua posizione geografica. Quando l’ambulanza riceve la chiamata, se è libera, parte subito a prendere il paziente, altrimenti prova a contattare le altre ambulanze per capire quale sia la prima a potersi occupare dell’emergenza. «Anche una sola ambulanza in più potrebbe rendere ancora più efficiente il servizio», dichiara Marcello. Nei prossimi mesi il progetto prevede la realizzazione di una centrale operativa gestita da operatori formati che riceveranno le chiamate, effettueranno il triage e le smisteranno alle ambulanze di competenza.

    Nonostante il servizio funzioni e sia fondamentale per la popolazione, le sfide rimangono. «Le condizioni delle strade, dissestate e spesso sterrate, rendono complesso raggiungere le unità sanitarie. I tempi di percorrenza si allungano e anche la velocità deve essere moderata per non creare ulteriori danni ai pazienti durante il trasporto», racconta Marcello. «Un’altra difficoltà si incontra nei centri sanitari e all’ospedale centrale di Beira, quando ci si rapporta con i colleghi – aggiunge Cristina -. Alcuni di loro hanno difficoltà a distinguere un’emergenza da un’urgenza o, addirittura, da un caso di routine. Spesso, quando arriviamo con un’emergenza in pronto soccorso, non ci sono abbastanza infermieri ad accogliere i pazienti. Questo sistema finisce per essere estenuante e la maggior parte delle volte usciamo dai centri sanitari in fretta e furia senza una risposta».

    Si sta investendo, perciò, nella formazione e sensibilizzazione del personale delle unità sanitarie rispetto all’importanza del triage per migliorare la capacità di rapida valutazione della condizione clinica dei pazienti e, di conseguenza, la necessità di trasferirli o meno. Inoltre, si sta lavorando per migliorare la percezione della popolazione sull’importanza del servizio prestato dalle ambulanze che, spesso, non riescono a passare tra i veicoli sulle strade anche se con i lampeggianti e le sirene accese.

    «Un giorno, verso l’una di notte, ho prelevato un paziente che aveva subito un’aggressione fisica, riportando ferite gravi su tutto il corpo. Canalizzate due vene e somministrata la soluzione fisiologica, è stato caricato in ambulanza con tutti i segni vitali al di sotto del normale. Il fratello, che lo accompagnava, era inconsolabile – racconta Cristina -. Ho sempre cercato di tenere sveglio il paziente fino all’arrivo in ospedale dove è stato accolto immediatamente in Traumatologia e curato dai medici del pronto soccorso. Il fratello ha ringraziato l’équipe dell’ambulanza per l’impegno e la dedizione».

    Ecco il senso di ciò che facciamo: sta lì, nel sapere che senza il servizio delle ambulanze molte persone non avrebbero possibilità di salvarsi.

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