Due ragazze due strade. Lo stesso bisogno di cura
Due quindicenni, sole e incinte, trovano in ospedale due percorsi diversi. Entrambe però sono seguite dalla cura del personale sanitario del Cuamm, che è accanto a loro.

Due ragazze di quindici anni, due storie parallele ma estremamente diverse tra loro. È il racconto che ci offre Elisabetta, appena rientrata da un anno di servizio civile insieme a Medici con l’Africa Cuamm a Pujehun, in Sierra Leone. Un anno intenso, ricco di sacrifici, di gioie, di scoperta di sé e dell’altro e impossibile da sintetizzare in una chiacchierata. Ma di fronte alla domanda: «Quali sono le storie che più ti sono rimaste impresse?» non ha dubbi.
Due volti, due nomi, Amie e Kadija. Stessa età, stessa situazione: una gravidanza, vissuta senza accompagnamento. A differire molto però, sembra essere la fiducia verso il futuro che le attende.
«Amie è arrivata in ospedale e ha partorito un bimbo prematuro – racconta Elisabetta –. Nonostante le molte difficoltà, il personale sanitario è riuscito a farlo sopravvivere. Ma non è bastato a rincuorare la mamma: durante tutto il suo ricovero non sono mai riuscita a vederla felice, contenta. Faceva molta fatica ad aprirsi, ho provato ad entrare in contatto con lei più a fondo, a capire cosa pensasse, ma non ce l’ho mai fatta. È una storia che mi rimarrà impressa per sempre, perché a un certo punto lei ha deciso di andarsene, con il bambino. Non sappiamo bene perché. Forse c’è stata della pressione da parte della famiglia, per ridurre il costo dell’ospedale».
Elisabetta ricorda il giorno della sua scelta, forse non del tutto libera. Ricorda la stanza dov’era Amie, e una marea di persone a circondarla, a darle pareri diversi. Al centro, lei. 15 anni forse sono pochi per portare il peso delle sorti di tuo figlio.
«I medici erano fermamente contrari alle dimissioni, perché il bambino era troppo piccolo, aveva pochissime possibilità di sopravvivere, ma lei comunque l’ha portato via. Non saprò mai veramente perché, cosa abbia pensato. Mi sono chiesta quanto possa essere difficile, per una ragazzina della sua età, prendere una decisione del genere. Io a malapena riuscivo a decidere che film vedere la sera, lei ha dovuto scegliere se andarsene o meno con un bambino di un chilo e mezzo tra le braccia».
Al lato di questa storia, di cui non conosciamo il finale, ma che difficilmente possiamo supporre racchiuda un lieto fine, ce n’è un’altra. Ed è quella di Kadija. Anche lei appena quindicenne, fin dal suo arrivo in ospedale si manifesta in tutta la sua energia. Kadija è vulcanica. Instancabile. Piena di voglia di vivere e di amare.
«La sera, quando uscivo, la vedevo girare per il paese. Le dicevo, Kadija, devi tornare in ospedale, sei ricoverata lì! Lei ha trascorso due mesi nella Casa dell’attesa prima del parto, ma non si è riposata nemmeno per un secondo».
La casa dell’attesa è un luogo, all’interno o in prossimità dell’ospedale, dove le future mamme possono attendere la nascita del figlio. Lì vengono monitorate e hanno modo di avvicinarsi al parto in sicurezza e tranquillità, tutelando la loro salute e prevenendo possibile morti materne o neonatali. Lo spirito con cui Kadija ha affrontato la sua permanenza nella casa dell’attesa è stato fuori dall’ordinario.
«Ogni giorno prendeva i bambini delle altre mamme e se li portava in giro. A un certo punto, ha iniziato pure ad aiutare la signora che di fronte l’ospedale teneva un banchetto per vendere pannolini e simili… Voleva lavorare, e aveva un obiettivo chiaro in testa: riprendere gli studi dopo il parto. Veniva da Freetown, la capitale, ma per motivi familiari era arrivata a Pujehun, totalmente sola. Lei mi ha colpito perché nonostante la sua giovane età, era veramente molto determinata a lottare per se stessa e per il suo bambino».
Grazie al lavoro del personale sanitario e all’azione di affettuoso contenimento di Elisabetta e di Sara, anche lei ostetrica, il parto è andato bene. Kadija e il suo bambino sono potuti tornare a casa rapidamente, sani. «Ci teneva tanto a tornare a scuola. Non so con chi starà suo figlio». Anche la strada che attende Kadija probabilmente sarà attraversata da decisioni difficili. Nello sguardo di Elisabetta luccica l’ammirazione per queste due donne, giovanissime e già madri. Seppur diverse, e con diverse risorse, entrambe hanno portato il peso delle loro responsabilità con dignità.