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Ogni giorno speri che sia meno freddo di ieri

22 novembre 2022800mila: sono questi gli ultimi dati degli sfollati scappati dalle zone più colpite del paese e arrivati nella cittadina, ci conferma Natalia. Occhi verdi, capelli rossi, mani che dicono di un lavoro quotidiano, di chi non si tira indietro ed è pronto ad aiutare l’altro.

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    Le incontriamo in una giornata di pioggia torrenziale, qui al Cuamm. Sono appena state a fare un giro per Padova, per vedere “la vostra bellissima città”, ci dicono, tutte inzuppate. Mettiamo i giacconi fradici ad asciugare sul termosifone. Un gesto banale e istintivo, qui da noi che il riscaldamento funziona, anche se costa un po’ di più. Mentre a casa loro, a Chernivtsi, in Ucraina, è il freddo, la cosa che le spaventa di più, lì al confine con la Romania dove le bombe non sono ancora arrivate. Natalia e Katerina sono due giovani donne, co-fondatrice la prima e presidente la seconda di Vrb, l’associazione con cui il Cuamm collabora in Ucraina con l’invio e la distribuzione di farmaci, di generi alimentari, di beni di prima necessità per gli sfollati e la popolazione.

    800mila: sono questi gli ultimi dati degli sfollati scappati dalle zone più colpite del paese e arrivati nella cittadina, ci conferma Natalia. Occhi verdi, capelli rossi, mani che dicono di un lavoro quotidiano, di chi non si tira indietro ed è pronto ad aiutare l’altro. Parla bene italiano e ci racconta:

    «Ora la strategia del conflitto è cambiata, i russi mirano a obiettivi strategici, le infrastrutture, le centrali elettriche e idroelettriche, hanno distrutto più del 40% della nostra capacità di produrre energia, per costringerci a morire di freddo. È un problema per le case, per le scuole, per gli ospedali dove ci sono i generatori ma erano pensati per coprire solo le emergenze, qualche ora al giorno. Ora sono sempre in funzione e il gasolio costa tanto. Se manca l’energia si ferma tutto, ci sono anziani che vivono nei piani alti dei palazzi, bloccati in casa perché non possono prendere l’ascensore».

    E così ogni giorno, i volontari di Vrb distribuiscono cibo, portano farmaci negli ospedali della città e in quelli di altri 7 Oblast (in tutto a 27 strutture sanitarie), accolgono nuovi profughi e cercano di risolvere un problema quotidiano: vivere. Il momento più duro?

    «All’inizio della guerra, quando non capivamo cosa stava succedendo, quando vedevamo arrivare i profughi, ucraini come noi, che scappavano dalle zone di confine, donne, anziani, bambini, molti di loro, mandati da soli, con scritto sulla schiena nome, numero di telefono e data di nascita, così che chi li accoglieva sapeva qualcosa di loro. E’ stato straziante. Ho un figlio di 12 anni e, in ogni momento della giornata, il mio pensiero va a lui, a questa situazione, a quante occasioni gli sono rubate». E prosegue: «La prima cosa che spero, la mattina quando mi sveglio, è che faccia un po’ meno freddo di ieri. È molto lungo l’inverno in Ucraina, c’è già la neve e rimarrà fino a marzo inoltrato. La nostra vita è sospesa, i bambini vanno a scuola a singhiozzo, ogni volta che suona la sirena dobbiamo interrompere tutto e metterci al sicuro e, quando salta la luce, il buio che ti circonda è assoluto. Avevamo una vita normale che è stata spazzata via così, improvvisamente, da un giorno all’altro».