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Africa, terra di famiglia

La riflessione di Elena Gelormino, medico di sanità pubblica, originaria di Torino, in missione a Mundri, in Sud Sudan.

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    «Mentre io seguo il corso base al Cuamm, i miei genitori sono in missione in Africa con la stessa organizzazione!». Così, il mese scorso, ha raccontato Fabrizio Dacquino, specializzando in Pediatria, durante le lezioni del corso “Cooperare per la salute in Africa”, organizzato dal Cuamm a Padova. Oggi abbiamo incontrato Elena Gelormino, la mamma di Fabrizio, rientrata per un breve periodo in Italia da Mundri, in Sud Sudan, dove sta lavorando come medico di sanità pubblica.

    «Sono stata tante volte in Africa orientale – spiega Elena – e assieme a mio marito, ho vissuto una decina di anni tra Kenya, Somalia e Zimbawe. I nostri figli sono nati in Africa, che è terra di famiglia! Mio marito ha lavorato, poi, a Cueibet tra il 2015 e il 2016 e io ho passato alcuni mesi lì come consulente per il sistema informativo. Questa volta ci troviamo in Equatoria occidentale, in particolare a Mundri. Il contesto abitativo è positivo, il compound è aperto e la squadra validissima. Un team formato da espatriati regionali, in prevalenza uomini, persone competenti e motivate, accoglienti, per cui la collaborazione è fluida.

    Con un pizzico di pazienza, credo di essermi fatta accettare anche dalle autorità locali, che all’inizio mostravano un po’ di reticenza, mentre ora il rapporto è decisamente migliorato. È stato complesso, invece, l’ingresso in ospedale a Lui, dove mio marito da un mese è direttore. Penso che la realtà degli ospedali sia sempre diversa rispetto all’attività di public health sul territorio, di cui mi occupo io.

    Il donatore Health Pooled Fund ha investito nella formazione, soprattutto delle ostetriche, un elemento importante, ma ora occorre educare anche altre figure, come i clinical officer e gli infermieri. Purtroppo, noi offriamo, spesso, training laddove è mancata la base della primary school, perché queste generazioni erano in età evolutiva durante la guerra, per cui non sono andate a scuola regolarmente. Oggi non possiedono un substrato di nozioni che non dobbiamo dare per scontato quando facciamo lezione».

    Come entrare in relazione con i colleghi

    «La lingua rappresenta, sicuramente, un ostacolo. Quando ho cominciato ad imparare un po’ di Juba arabic, un arabo aggiustato al contesto, ho fatto felici tutti, compresi i sultan, i capi villaggio! E uno di loro mi ha regalato una gallina! Ero molto orgogliosa di questo dono, anche se non ho avuto il coraggio di mangiarlo. Le relazioni sono complesse, ma se ci mostriamo umili, ci poniamo sul piano giusto, possono dare tanto. Ho lo svantaggio di essere donna, ma l’avere qualche capello bianco, in realtà, aiuta perché qui è sinonimo di credibilità».

    Un aspetto positivo, uno negativo

    «L’impressione che nulla vada sprecato di quello che faccio, che le mie competenze, in qualche modo, siano utili in quel contesto. E, poi, altro aspetto positivo sono i collaboratori: buone persone, con voglia di ascoltare. Un lato che rattrista, invece, è vedere così tanto inquinamento, con plastica dappertutto. A parte questo, la natura è ricca, c’è una fauna varia, anche con uccelli e piccoli rettili. E una quantità infinita di alberi di mango, con cui preparo dolci marmellate!».

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