Medici con l'Africa Cuamm

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Scegliere di agire per cambiare le cose

La testimonianza di Meymuna Kemal Siraj, operatrice sanitaria che gestisce emergenze ostetriche a Turmi in South Omo.

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    Memuna Kemal Siraj, 33 anni, lavora presso l’Ospedale di Turmi, in South Omo, dove Medici con l’Africa Cuamm interviene per la salute materno-infantile nell’ambito del progetto “I primi 1000 giorni. Garantire servizi sanitari di qualità a mamme e bambini della South Omo Zone”, sostenuto dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Memuna è un Emergency Surgical Officer (ESO), un’operatrice sanitaria autorizzata ad operare in caso di emergenze ostetriche. Prima di svolgere servizio in South Omo, ha lavorato per il Governo Etiope e per altre Ong in diverse aree remote e difficili del paese, in particolare la regione di Gambella e Somali.

    «Quando inizi a lavorare come professionista sanitario, il Governo ti assegna ad una regione del paese – spiega Memuna -. Io sono capitata inizialmente nella regione Somali, un contesto difficile, con scarse risorse, e con una cultura e una lingua molto diversa da quella che parlavo. È stata dura ma è lì che mi sono avvicinata e appassionata alla chirurgia di emergenza».

    La sua passione e dedizione per questo lavoro però non nascono fin da subito: «Quando ero al liceo, volevo studiare matematica e diventare un’insegnante, ma qui in Etiopia non puoi sempre scegliere liberamente cosa vuoi fare. Perciò è stato deciso che studiassi per diventare un’operatrice sanitaria – racconta Memuna -. Ricordo che piansi molto, ma poi mi presi le mie responsabilità e piano piano iniziai ad appassionarmi a quello che facevo. A distanza di anni ripenso ad un episodio che mi ha segnata molto e che forse dà ancora più senso al mio lavoro oggi. Quando avevo 10 anni, la mia vicina di casa, a cui la mia famiglia ed io eravamo molto legate, era incinta. Ricordo che un giorno mia madre ed io siamo andate a trovarla per il parto in casa. Improvvisamente ha cominciato a perdere molto sangue e ormai svenuta, è stata trasportata al centro di salute più vicino. Era ormai troppo tardi e purtroppo non ce l’ha fatta. Ricordo che chiesi ripetutamente a mia madre perché fosse accaduto e lei mi rispose: “la sua placenta è arrivata al cervello”. Ero solo una bambina ma sapevo che quella risposta non era sensata. Continuai a fargliela per molto tempo, ottenendo sempre la stessa risposta, fino a quando, grazie allo studio e al mio lavoro, ho capito che tutto era accaduto per una complicanza ostetrica che poteva essere evitata intervenendo prima e prevedendo un parto assistito in una struttura sanitaria. Nella gestione delle emergenze hai poco tempo per pensare, decidere, e diventa ancora più difficile farlo nei contesti in cui le comunità, non riconoscendo il valore dei servizi sanitari, non si recano ai centri di salute o in ospedale. Da quel giorno, ogni giorno scelgo di agire in prima persona per cercare di cambiare le cose, di non arrivare quando ormai è troppo tardi».

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    Tutto questo è diventato ancora più vero in seguito ad alcune emergenze che Memuna si è trovata a gestire.

    «Ricordo in particolare il caso di una ragazza di 13 anni, incinta, che lamentava forti dolori. Essendo molto minuta fisicamente, sarebbe stato impossibile per lei partorire naturalmente, ma il padre e il marito si rifiutavano di firmare il consenso per il parto cesareo. Dopo oltre 24 ore, e con una forte infezione in corso, la ragazza è stata trasportata all’ospedale più vicino, distante 450 km. Solo allora i familiari hanno dato il loro consenso per il cesareo, ma era troppo tardi per salvare il bambino. Ricoverata in maternità per essere monitorata, la pressione sanguigna della ragazza aveva iniziato a scendere troppo e aveva una forte emorragia. L’unica soluzione per salvarle la vita era sottoporla ad un’isterectomia, un’operazione per rimuovere l’utero, ma anche in questo caso il marito non firmò il consenso e se ne andò dall’ospedale, lasciandola lì. Fortunatamente siamo riusciti a salvarla, ma questa esperienza mi ha fatto capire ancora di più quanto sia fondamentale sensibilizzare le comunità, in particolare le donne, perché siano consapevoli dei propri diritti e combattano per difenderli, diventando così più indipendenti. Ciò che mi gratifica di più e che mi permette di affrontare le sfide quotidiane è essere al servizio di chi ha bisogno, delle donne. La mia relazione con loro è speciale; cerco di supportarle sempre, di spronarle a difendere i propri diritti e di farmi io stessa promotrice quando loro ne hanno la possibilità».

    «Ci sono anche degli aspetti sfidanti e frustranti nel mio lavoro – continua Memuna -. Spesso noi emergency surgical officers non siamo trattati al pari di altri colleghi, i ginecologi ad esempio, pur svolgendo un ruolo importante. Ho sempre vissuto il mio lavoro come una responsabilità verso me stessa e verso gli altri ma a volte ti confronti con colleghi e superiori che non mettono passione e impegno in ciò che fanno. Credo dipenda da quanto vieni motivato e spronato a fare bene il tuo lavoro. È quello che sto cercando di fare a Turmi, con lo staff dell’ospedale: rafforzare la fiducia e trasmettere passione e cura per ciò che si fa e per le persone. Quando sono arrivata c’era confusione: le cartelle cliniche non venivano registrate correttamente e l’attenzione verso i pazienti era spesso superficiale. Ora vedo che, lavorando fianco a fianco nel tentativo di crescere insieme e migliorarsi l’un l’altro, le cose stanno cominciando a cambiare. Stiamo gestendo un numero maggiore di parti cesarei e riusciamo ad offrire un servizio migliore per la gestione delle emergenze ostetriche che prima trovavano risposta solo a Jinka.

    La lezione più importante che ho imparato? Che l’accesso alle cure è e deve essere un diritto di tutti. Io cerco di metterlo in pratica tutti i giorni –conclude Memuna -. L’Etiopia è un paese con molti gruppi etnici diversi e spesso si è discriminati sulla base delle proprie origini, ma sono convinta che il cambiamento sia possibile, con impegno e pazienza».

    Grazie al contributo di:

    AICS