Il discorso di fine mandato
Il discorso pronunciato a Padova, il tre giugno 2008, per la fine del mandato di direttore di Medici con l’Africa Cuamm, difronte ai membri dell’organizzazione, agli amici e ai sostenitori.
Carissimi,
come già sapete, con il 30 giugno concluderò il mio mandato di direttore. Altre volte mi ero proposto delle scadenze, ma i Superiori mi hanno sempre chiesto di continuare. Ora desidero cogliere questa occasione per mandare a tutti un saluto e, soprattutto, per dire a tutti il mio grazie di cuore.
Da quando, nel settembre del 1955, fui inviato dal Vescovo Bortignon a dirigere il Cuamm ed entrai per la prima volta nella vecchia sede del Collegio in via Galilei, tantissime persone ho potuto incontrare e conoscere in tutti questi anni. Parecchie di queste persone sono defunte. Tutti intendo in questo momento ricordare e ringraziare per il bene che mi hanno fatto e per quel bene che insieme abbiamo cercato di fare.
Penso a tutti gli studenti che sono passati per il Collegio e che hanno tenuto sempre viva la sede e sempre giovanile la vita del Cuamm. Molti gli studenti italiani e le famiglie che si sono create e molti gli studenti esteri, provenienti da più di 30 paesi dell’Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Con loro si è costituita una comunità che è apparsa quasi come una piccola ONU, problematica in sé e difficile da gestire, ma portatrice e formatrice di importanti valori, ricca di provocazioni e di forti stimoli all’accoglienza, al dialogo, all’accettazione dell’ “altro”, al rispetto del “diverso”, all’incontro e allo scambio delle culture, allo studio delle religioni e della tradizioni, al comune impegno di lottare contro ogni forma di schiavitù, di discriminazione, d’ingiustizia, contro le malattie e le povertà e aiutare i popoli del 3° mondo a uscire dallo stato di inferiorità e di sottosviluppo, condividendo gli ideali del Cuamm di prendersi cura dei più deboli e di servire gli ultimi, nello spirito del Vangelo.
Il discorso della pari dignità di ogni persona e di ogni popolo è sempre stato oggetto di vivaci discussioni e di confronti anche serrati, così come il tema della giustizia, della solidarietà e della pace e il richiamo alla coerenza e al coraggio di pagare senza sconti.
Da questa comunità plurietnica e multinazionale ho imparato ad avere la pazienza dell’ascolto e la capacità di mediare tra gli opposti, ma anche a scoprire sensibilità, intelligenze e doti umane straordinarie fra gli studenti di ogni continente. Dal rapporto personale con loro ho appreso a guardare al mondo senza pregiudizi e chiusure, con realismo e ottimismo, con fiducia e speranza e a sentire una profonda simpatia per tutta quella parte dell’umanità che è umiliata e che soffre, ad amare non “le cose del mondo”, ma “le persone che sono più bisognose nel mondo”.
Una bellissima lezione di spiritualità e di serenità ho ricevuto dalle Suore indiane, molto coraggiose nelle loro scelte e determinate nel loro operare.
Pensando poi alle tante persone che hanno prestato il loro servizio in parecchi paesi del 3° mondo e in particolare dell’Africa subsahariana, non nascondo le emozioni che ho provate alla consegna del Crocifisso dei primi medici che partivano e la sensazione poi, che ho sempre avuto, che fosse quasi un miracolo il susseguirsi costante nel tempo di personale medico e non medico disposto a partire. E’ un “andare” delle origini (l’ “euntes, curate infirmos”) che continua dopo oltre 50 anni. Ovviamente le condizioni di oggi sono diverse e i contesti sono cambiati rispetto agli anni cinquanta-sessanta, ma la missione resta la stessa e la sua originalità non perde senso e valore. L’idea del medico (laico) missionario inventata dal prof. Canova mi ha entusiasmato fin dall’inizio e mi ha portato ad impegnarmi per la promozione del laicato missionario in Italia con la creazione della Federazione degli Organismi di laicato missionario (FOLM, 1965), trasformatasi poi in Federazione deglio Organismi cristiani per il servizio internazionale volontario (FOCSIV, 1970), e ad interessarmi attivamente per favorire anche in Italia il riconoscimento del servizio volontario civile e le attività delle organizzazioni non governative nella cooperazione con i paesi in via di sviluppo attraverso l’emanazione di apposite leggi.
Ho sempre considerato anche per me un grande dono la figura del prof. Canova e gli insegnamenti che dava e che ci ha lasciati, la sua fede genuina, la sua libertà interiore e la regola di condotta del Cuamm: “Solo in un clima di libertà si possono formare convinzioni durature e non vocazioni fittizie”. Tutto il suo agire di medico e di scrittore (sono più di 30 le sue pubblicazioni) è stato orientato al bene dell’uomo, “aiutare a rendere una persona serena e simpatica a se stessa e agli altri”, diceva.
La simpatia era uno dei suoi temi preferiti. L’ultimo libro, uscito postumo, che l’ha tenuto occupato gli ultimi 5 anni della sua vita, è sulla “Simpatia per Gesù”.
Accanto al prof. Canova, morto 10 anni fa (25.07.1998), dovrei menzionare e ringraziare tutti i medici e gli altri volontari, di fede religiosa e non, ma ugualmente motivati, che hanno vissuto la missione del Cuamm con il loro servizio e la loro testimonianza, molti accompagnati dalle loro famiglie (un pensiero e un grazie speciale rivolgo alle mogli). La lista è lunga e ogni tanto la prendo in mano e la ripasso per non dimenticare nessuno. Abbiamo un patrimonio preziosissimo di conoscenze, di esperienze, di professionalità di grande levatura che potremmo utilizzare e valorizzare anche di più, persone competenti e ancora disponibili, che continuano a dare il loro contributo nella formazione, nella ricerca, nel diffondere la cultura del diritto alla salute per tutti e nel creare interesse per l’Africa e per una politica di cooperazione allo sviluppo che sia efficace e contribuisca effettivamente a ridurre la povertà nel mondo.
Nessuno ne abbia a male se mi limito a citare solo 4 nomi di medici, che mi sembrano rappresentare come un simbolo: il dott. Angelo Tasso, il primo medico del Cuamm partito per l’India nell’aprile del 1954, il prof. Anacleto Dal Lago e il prof. Giovanni Baruffa, i primi medici partiti per l’Africa nel 1955 (Kenya e Somalia), il dott. Santino Invernizzi, medico che non si è messo in mostra e che alla missione ha dedicato tutta la vita, sempre disponibile a prestare il suo servizio anche nei posti più duri e disagiati dei progetti Cuamm in Africa.
Un grazie specialissimo sento di dover dire al prof. Dal Lago, l’uomo del rigore scientifico, delle parole misurate, delle intuizioni lungimiranti, delle proposte coraggiose e profetiche, il “tecnico” insuperabile dei progetti, che ha sempre unito insieme azione e pensiero, che ha prodotto idee, ancor prima dell’OMS e di Alma Ata, e che ha dato nome e prestigio alla presenza e a tutta l’attività del Cuamm, in Italia e in Africa. Da lui l’ispirazione anche per me e l’orientamento illuminato e sicuro per ogni problema e ogni decisione. Con lui c’è sempre stata sintonia d’intenti e piena collaborazione.
Ricordo anche e ringrazio il prof. Baruffa per i suoi famosi 3 sì, alla prima partenza per la Somalia (1955) e poi nel passaggio all’Università Cattolica di Pelotas in Brasile (1965). Ha sempre dimostrato una grande passione per la ricerca, l’insegnamento e la cura dei malati, studioso aggiornatissimo di ogni ambito della medicina, mente aperta a tutte le problematiche del mondo, sempre gioioso ed entusiasta della sua scelta e del suo lavoro.
In questo momento non posso dimenticare alcune persone del Cuamm che hanno sacrificato la vita in Africa: il dott. Lido Rossi, di cui ricorre quest’anno il 50° anniversario della morte, avvenuta il 16 agosto 1958 in Swaziland per nefrite maligna; la moglie del dott. Walter Berardi, Margherita Simioni, morta in Tanzania in un incidente stradale il 20 maggio 1989, la sera prima del suo rientro in Italia, dove a Milano la attendevano i genitori ansiosi di conoscere anche la nipotina Giulia Maria che aveva allora 6 mesi; l’infermiera Marisa Ferrari, morta in un drammatico incidente stradale vicino all’ospedale di Chiulo in Angola l’1 febbraio 2004; la dott.ssa Maria Bonino, morta di Marburg a Luanda il Giovedì Santo 24 marzo 2005.
Queste morti, che hanno colpito gravemente il Cuamm, sono state per me di grandissima sofferenza, per l’affetto alle persone, per il dolore delle famiglie, a cui è toccato a me dare le tristi notizie, per la perdita di soggetti molto validi e che facevano onore alla nostra organizzazione.
Cito spesso di Lido Rossi una sua espressione sulla scelta di fare il medico missionario: “Non è bisogno di avventura, ma bisogno di fare del bene in una maniera difficile. Se ripenso anche al passato, mi vedo generoso solo quando c’è stato bisogno di qualche sacrificio”.
Anche di Maria Bonino ricordo in particolare due lettere, una del 1983 dalla Tanzania: “Mi piace molto questo tipo di vita e di lavoro e, nonostante le inevitabili difficoltà, sento che qui le mie giornate hanno un senso”, e una lettera dall’ospedale di Uige nel febbraio del 2005 dove, parlando della situazione tragica della sua pediatria, scriveva: “E’ umanamente impossibile vedere un senso in tutto questo dolore innocente, l’unica è fidarsi che ci sia”.
E’ certamente merito dell’impegno e dell’alto livello di dedizione e di competenza di tante risorse umane, che hanno sempre contraddistinto il Cuamm, la quantità e la qualità delle iniziative e dei progetti che si poterono realizzare in Italia e in Africa.
Nessun vanto o presunzione di aver fatto abbastanza o di aver fatto tutto bene, riconoscendo anche gli errori quando ci sono stati e andando sul posto a scusarci. Ma pensando alle tante sfide affrontate, a certi passaggi complessi e difficili compiuti, ai periodi di crisi della cooperazione superati, alle centinaia di interventi effettuati, alcuni anche di grosse dimensioni e in condizioni che sembravano di forte rischio, non posso che vedervi anche qui quasi una specie di miracolo. E’ la percezione che tante volte ho avuto andando in Africa a visitare i progetti e a trovare le persone. L’incontro con le persone l’ho sempre considerato la priorità in tutte le mie missioni e l’ho vissuto come una festa.
In tutti questi anni mi ha sempre accompagnato e sostenuto la certezza di quanto disse il Vescovo Bortignon alla posa della prima pietra del Collegio 50 anni fa, il 2 dicembre 1958.
“Quest’opera porta evidenti i segni della Provvidenza Divina e afferma magnificamente quella solidarietà cristiana che è un segno dei tempi”.
Ne sono stati strumento tutti i “partiti”, come lo sono stati e lo sono tutti i collaboratori impegnati nei vari uffici e servizi della sede di Padova e dei coordinamenti in Africa, che ringrazio singolarmente ad uno ad uno.
Ricordo per tutti alcuni nomi: i sacerdoti don Gianpietro, don Antonio, don Luigi Bortignon, don Dante e il dott. Cosci, il dott. Pisani, la dott.ssa Franzetti, il dott. Chiodini, il dott. Mondin, madre Bice, Giovanni Resini.
Ricordo pure e ringrazio tutti i membri dei vari Consigli di Amministrazione, dei Consigli Direttivi, dei Comitati dell’Assemblea e del Coordinamento dei Gruppi e le tante persone che, senza nessuna pubblicità e richiesta di riconoscimenti, ci hanno aiutato.
Desidero ricordare anche le positive relazioni che abbiamo avuto con i Rappresentanti delle istituzioni sia ecclesiastiche che civili, il Ministero degli Esteri, l’Unione Europea, gli Organismi internazionali, le istituzioni locali, che hanno mostrato attenzione e apprezzamento per il nostro lavoro.
Conservo sempre un vivissimo ricordo delle due Udienze speciali che abbiamo avuto in Vaticano con il Papa Paolo VI (14.11.1965) e il Papa Giovanni Paolo II (26.09.1983) e dei messaggi che ci hanno dato.
Di grande sostegno ci sono stati i rapporti con le Congregazioni per l’Evangelizzazione dei Popoli e delle Chiese Orientali e con la Conferenza Episcopale Italiana e le visite al Cuamm, in varie circostanze, di eminenti personalità religiose e internazionali.
I motivi per ringraziare sono innumerevoli. Ringrazio ogni giorno Dio per i molti doni che ci ha concessi e lo prego ogni giorno di non abbandonarci, perché i bisogni sono tanti e le difficoltà non mancano. Ringrazio ogni giorno il Signore anche per me per il ministero di carità che mi ha affidato e per la singolare esperienza che mi ha dato di vivere partecipando fino dagli inizi a questa straordinaria avventura di Medici con l’Africa Cuamm.
Sono sempre stato consapevole dei miei limiti e degli errori che posso aver commesso. Non c’è stata cattiva volontà.
Abbiamo vissuto momenti di strettezze e angustie finanziarie tali da togliere il sonno, ma non ci siamo mai lasciati trascinare nelle nostre scelte dai soldi facili, seguendo il principio “meglio poveri, ma liberi”, e, pur faticando a cercare le necessarie soluzioni, non è mai venuta meno la fiducia che la Provvidenza prima o poi sarebbe arrivata.
Le maggiori sofferenze che ho provato sono state la morte di alcuni nostri volontari in Africa, come ho ricordato sopra, e di parecchie altre persone particolarmente legate al Cuamm, e il non essere riuscito con tutti i collaboratori a comporre impostazioni di lavoro, ruoli, visioni e prospettive del futuro che, a partire soprattutto dal 2000 in poi, hanno finito per creare, sul piano della operatività, numerose tensioni e rapporti non sereni. Ho sempre considerato il legame con la Diocesi il nostro fondamento che dà garanzia di stabilità e di continuità per il Cuamm e ritengo che dobbiamo essere molto grati ai Superiori della Diocesi che hanno sempre avuto fiducia nel Cuamm, nei suoi dirigenti e operatori, e non hanno mai imposto nulla.
Trovandomi, per compito di responsabilità, a dover prendere delle decisioni, anche difficili e importanti, ho sempre cercato di riflettere prima a lungo (e di pregare) e alcune decisioni mi sono costate moltissimo.
Chiedo ancora scusa a quanti, con il mio modo di agire, posso aver recato ferite o creato disagio, provocando magari anche un raffreddamento nelle relazioni personali o nei rapporti con il Cuamm. Mi dispiacerebbe tantissimo se restassero ombre o risentimenti, perché non ho mai voluto male a nessuno e non ho mai cercato di difendere una mia posizione personale, ma solo quello che ritenevo fosse il bene del Cuamm. Il mio appello è un invito a tutti a collaborare, ciascuno per la sua parte, per la “buona causa” che siamo chiamati a servire: l’Africa e i poveri.
Cosa farò dopo il 30 giugno? Una mia idea ce l’avevo da tempo. I Superiori, don Dante… mi chiedono di restare all’interno del Cuamm e continuare a dare un supporto. Per quello che mi sarà possibile, sono contento di farlo, in termini di chiarezza e con il massimo rispetto delle funzioni e responsabilità del nuovo Direttore e di tutti i collaboratori. Spero che la mia presenza non sia di intralcio, ma di coesione e di incoraggiamento.
Certamente dedicherò più spazio alla meditazione e alla preghiera, perché i costruttori non lavorino invano e il seme che viene gettato, nella fatica e nel pianto, produca frutto nella gioia.
Continuerò a ricordare tutti con la stima e l’affetto di sempre.
don Luigi