Grand Mamà
Alessandra Cattani è un chirurgo, di lunga esperienza in Africa. Da Pujehun in Sierra Leone ora si è spostata a Rumbek, in Sud Sudan. Sempre in prima linea per la salute e per la cura delle donne, ci racconta la storia di Isatu.

L’ospedale materno-infantile di Pujehun, essendo dotato di sala operatoria attiva e funzionante, è diventato il centro di riferimento per le emergenze e i casi complicati sia pediatrici, ma soprattutto ostetrico-ginecologici. Più di 1000 parti all’anno, dei quali almeno il 40% cesarei, oltre alle altre urgenze di sala operatoria (aborti, rotture uterine, gravidanze ectopiche…) e ai parti operativi (podalici, ventosa…).
Ogni giorno ha la sua buona dose di urgenze, complicanze, situazioni a rischio da ponderare, decisioni delicate e determinanti da prendere. È un reparto molto attivo con le ostetriche, poche, 2 per turno più una volontaria a supporto, sempre in movimento, senza un attimo di tregua. Anche volendo non puoi restare indifferente e non farti coinvolgere da quelle miriadi di storie, di stralci di vita, a volte gioiosi, a volte drammatici. Quanta umanità con la sua sofferenza, il suo dolore, la sua speranza, la sua gratitudine passa per questo scalcinato reparto che è la Maternità di Pujehun. Molte pazienti arrivano indirizzate dai Centri di salute sparsi sul territorio, sia del nostro distretto che di quelli confinanti, in genere quando la tipologia della gravidanza o le condizioni della donna rendono consigliabile l’espletamento del parto in ospedale.
Un giorno arriva, trasferita da uno dei centri di salute del territorio, una donna con gravidanza a termine, non più giovane. Il fattore di rischio che ne ha giustificato il trasferimento da noi è la multiparità: è alla dodicesima gravidanza, tutti parti spontanei, solo 3 figli ancora vivi su 11. Non conosce la sua età ma, dalla storia ostetrica e dal volto segnato si deduce abbia passato la quarantina, probabilmente 42 o 43. In realtà ne dimostra molti di più. In genere le donne africane non più giovanissime, specialmente quelle che vivono nelle zone più periferiche, dimostrano quasi il doppio della loro reale età; ciò a causa delle privazioni, del duro lavoro, delle molteplici e ravvicinate gravidanze, delle preoccupazioni legate al prendersi cura della famiglia e dei figli, degli inevitabili lutti per la perdita di uno o più figli. Portano e mostrano nel volto e nel corpo il peso delle molteplici vicissitudini che hanno costellato i non molti anni della loro vita.
La nostra paziente si chiama Isatu, è diversa dalle altre donne gravide che affollano il reparto in attesa del parto, non si mischia con loro, neppure per i pasti. Non porta la parrucca, ha i capelli cortissimi degli africani attaccati alla testa, veste molto semplicemente, in modo dimesso, ha un sorriso triste e gli occhi stanchi e buoni.
È silenziosa e schiva, non come le giovanissime che schiamazzano e strepitano per nulla. Quando la visito al mattino e controllo la presenza del battito fetale, mi ringrazia sempre con gli occhi bassi. Mi viene spontaneo iniziare a chiamarla Grand Mamà anche se con tutta probabilità è più giovane di me. Un giorno le chiedo che età hanno i suoi figli; non capisce l’inglese, così un’infermiera traduce dall’inglese al mendè (la lingua locale) e viceversa. Dice che il più grande ha più di vent’anni anche se non sa con precisione quanti. Le chiedo ancora se la aiuta con i lavori al villaggio; si schermisce e dice che lui è già sposato e deve pensare e provvedere alla sua di famiglia, ora.
Mi fa pena questa donna che ha dato la vita ad altri tante volte e ora non le rimane quasi niente per sé stessa. Ma mi suscita anche molto rispetto. All’improvviso mi viene da chiederle se è stanca, se dopo questo figlio desidera riposare e non affrontare più il disagio e il rischio data l’età di una nuova gravidanza. Mi risponde con lo sguardo, senza bisogno di parole.
Informo le infermiere di preparare la Grand Mamà per il cesareo quel pomeriggio stesso. In corso di intervento provvedo anche alla legatura delle tube. Le consegniamo una bellissima bimba di più di 4 chili di peso: Grand Mamà fino in fondo. Il mattino dopo è già seduta sul letto ad allattare la sua ultima figlia. Ci congratuliamo tutti con lei e le facciamo i complimenti, chiamandola con quel nomignolo affettuoso che tanto la caratterizza. E finalmente ci regala un sorriso vero che le illumina gli occhi.