Sfide e soluzioni per la salute materno-infantile: il contributo della ricerca operativa in Africa
A Milano, l’appuntamento annuale del Cuamm per approfondire le sfide e i punti di forza della ricerca operativa in Africa, tra figure istituzionali e voci dal campo

Eravamo in 250 a Milano, venerdì 16 maggio 2025, all’Auditorium Testori di Palazzo Lombardia, per parlare del ruolo della ricerca operativa in Africa.L’evento, promosso da Medici con l’Africa Cuamm in collaborazione con Regione Lombardia, è stato condotto da Chiara Bidoli, caporedattrice del Corriere della Sera.
L’evento è stata l’occasione per raccontare come la ricerca sia uno strumento fondamentale non solo per leggere la realtà, ma anche per affrontare con serietà e innovazione le sfide sanitarie nei contesti a risorse più limitate, costruendo risposte più efficaci, concrete e sostenibili.
Ad arricchire la serata, tante voci diverse: dai volti istituzionali ai racconti di chi lavora sul campo. Un incontro tra figure giovani, volenterose di dare il proprio contributo nell’ambito della ricerca, e figure autorevoli, accompagnate da una solida esperienza.
Un ponte tra istituzioni e territorio
Ad aprire l’incontro, i saluti istituzionali di Guido Bertolaso, assessore al Welfare di Regione Lombardia, che ha voluto ricordare la lunga storia che lo lega a Medici con l’Africa Cuamm, dedicando un pensiero affettuoso alla memoria di don Luigi Mazzucato, direttore storico del Cuamm, a dieci anni dalla sua scomparsa:
«Sono un volontario del Cuamm da molti anni: qui ho fatto la mia gavetta, con persone che oggi non ci sono più, come il nostro amato don Luigi, che è stato per tutti un padre, un fratello, una guida in questa nostra avventura. E insieme a don Luigi mi piace ricordare un altro grande maestro, che è Anacleto Dal Lago. Mi lega una lunga storia di stima e di affetto».
Dopo di lui, Marco Rusconi, direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), ha sottolineato il ruolo della cooperazione come motore di equità e rafforzamento dei sistemi:
«L’obiettivo della cooperazione allo sviluppo – così come lo definisce la legge – è contribuire a ridurre le diseguaglianze. E sappiamo bene che la salute è una delle dimensioni dove queste diseguaglianze si rendono più visibili. Chi è più povero ha più probabilità di ammalarsi e meno possibilità di curarsi. Per questo serve lavorare con le istituzioni locali. Perché, va ribadito, noi non operiamo nel deserto: ci muoviamo dove già ci sono strutture, centri, università, e quello che ci chiedono è di accompagnarli verso una crescita. L’approccio sul terreno è fondamentale per capire: l’ultimo miglio, se ribaltiamo la prospettiva, è il primo».
E la collaborazione con le istituzioni locali è fondamentale, non solo per rendere possibile quello che per noi del Cuamm è il “con” fondamentale che ci contraddistingue, ma anche per poter svolgere al meglio la nostra missione, senza trascurare nessun aspetto. Come ha ricordato Giovanni Putoto, responsabile programmazione e ricerca operativa di Medici con l’Africa Cuamm:
«Il Cuamm non è un ente di ricerca in senso stretto, il nostro mandato specifico è un altro. Ed è per questo che, per rendere possibili le quasi 100 pubblicazioni dal 2013 a oggi, abbiamo lavorato in rete. Chi sono i nostri partner in Africa? Comunità, associazioni, professionisti locali, direttori di distretto… tutta l’Africa! Tutta! Insieme poi con le università, di cui 34 italiane».
Il lavoro comune, fatto giorno per giorno anche grazie alle relazioni e alle collaborazioni intrecciate nel tempo, è l’unica risposta possibile all’indebolimento conosciuto da molti sistemi sanitari — molti dei quali africani — negli ultimi anni. Le cause sono molteplici, come ha ricordato nel suo intervento Peter Waiswa, professore associato alla Makerere University, in Uganda:
«Nel mondo ogni anno muoiono ancora 260.000 donne per cause legate alla gravidanza, 2,3 milioni di neonati, 1,9 milioni di bambini nati morti, e oltre 5 milioni di bambini sotto i cinque anni. Sono numeri inaccettabili. La copertura limitata degli interventi e i sistemi sanitari deboli – ulteriormente colpiti dal Covid-19 e da guerre come quelle nella Repubblica Democratica del Congo o nel Sud Sudan – rendono le diseguaglianze ancora più profonde. Anche i programmi verticali, settoriali, dedicati a un unico problema specifico a discapito di tutti gli altri, rischiano di peggiorare la situazione. Serve un approccio sistemico, integrato, centrato sulle persone e sulla comunità».
Le voci del campo: giovani, strumenti, soluzioni possibili
Di fronte a questo quadro — che potrebbe suonare scoraggiante per chi non conosce la tenacia del Cuamm e di chi agisce in rete con noi — gli interventi a seguire portano una ventata di ottimismo. È il momento dei “4 minutes talk”, brevi interventi di giovani ricercatrici e ricercatori che hanno raccontato esperienze concrete di ricerca operativa sul campo.
Dall’ingegneria frugale per i neonati alla malnutrizione pediatrica osservata dal punto di vista delle comunità, passando per il supporto psicologico alle famiglie con neonati in terapia intensiva: «Il 52% delle madri ha sintomi di depressione. Ma nessuno se ne accorge», racconta Ilaria Mariani, ricercatrice presso il Centro collaboratore Oms Irccs materno infantile “Burlo Garofolo”.
Che impatto ha questa sofferenza sulle comunità? Conoscere questi dati aiuta a lavorare con più efficacia sul territorio. Così come attrezzarsi per rispondere alla crescente resistenza ai farmaci antimalarici nelle donne in gravidanza e nei bambini: è l’oggetto dello studio di Valentina Totaro, specializzanda in malattie infettive presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”: «Identificare queste resistenze è un’azione di salute pubblica che permette di orientare programmi preventivi e terapeutici a vantaggio di tutta la comunità». E ancora: quali sono le condizioni lavorative degli infermieri e quanto incidono sul loro rendimento? Se l’è chiesto Matilde Aldeghi, infermiera dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, i cui studi hanno indagato la correlazione tra questi aspetti e l’efficacia delle cure pediatriche: «Se l’equipaggio non è nelle condizioni di lavorare bene, nessuna astronave ci porterà a destinazione». Sono tanti piccoli tasselli fondamentali di un cambiamento duraturo. Così come la capacità di innovare con poco può cambiare le sorti di un ospedale. L’esperienza raccontata da Sofia Poletto, dottoressa di ricerca in bioingegneria presso il Politecnico di Milano, che ha lavorato alla progettazione di Safer, un nuovo tipo di respiratore per asfissia neonatale che, oltre a essere compatto e portatile, offre una terapia efficace anche in contesti a risorse limitate, perché non ha bisogno di bombole o aria compressa esterna: «La tecnologia può fare la differenza, se progettata ascoltando chi la userà».
Giacomo Buzzao, ricercatore alla Venice School of Management dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha invece studiato un modo per rendere economicamente più accessibile l’utilizzo delle ambulanze a Beira, in Mozambico. La ricerca è parte del progetto UR-Beira, finanziato dall’Aics, che ha visto la creazione di una centrale operativa che coordina i trasferimenti di emergenza, collegando i centri sanitari periferici fino a 50 km di distanza all’ospedale centrale di Beira, uno dei più importanti del Paese: «Grazie a questo lavoro, trasferire una paziente in urgenza costa 27,59 euro». Un risultato sorprendente.
Chiude questa breve rassegna il lavoro di Andrea Pietravalle, pediatra con Medici con l’Africa Cuamm: «Quando si parla di malnutrizione», spiega, «non si tratta “solo” di fame. È responsabile — direttamente o indirettamente — del 45% delle morti sotto i cinque anni nel mondo. E interessa 45 milioni di bambini: come ogni bambino in Italia, Francia e Spagna messi insieme».
Un mosaico di esperienze che, nel loro insieme, raccontano una ricerca che nasce dal basso e si nutre di contatto, contesto, cura dell’altro.
Tavola rotonda
Lo stesso spirito emerge dalla tavola rotonda intitolata Dialoghi di ricerca, mediata da Andrea Atzori, responsabile relazioni internazionali del Cuamm. Hanno partecipato ospiti di rilievo come Annajoyce Clavery Kamugisha, caposala del reparto maternità dell’ospedale di Tosamaganga (Tanzania), Tarikua Endrias Butta, responsabile della terapia intensiva neonatale al Saint Luke Hospital in Etiopia (in collegamento da remoto), Serge Boni, professore di ginecologia e ostetricia e consulente del ministro della Salute della Costa d’Avorio, e Mario Merialdi, fondatore di Maternal Newborn Health Innovation (Mnhi).
Quattro esperienze diverse, da altrettanti angoli dell’Africa, che hanno portato al centro l’urgenza di rafforzare i sistemi sanitari locali con approcci concreti, capaci di unire rigore scientifico, innovazione e lavoro comunitario.
Annajoyce Kamugisha ha richiamato l’attenzione sulla «drammatica carenza di personale formato per i parti vaginali assistiti», ancora troppo poco riconosciuti e gestiti per mancanza di competenze e strumenti adeguati: «Sì, abbiamo raggiunto grandi successi, ma le sfide rimangono critiche». Tarikua Butta ha presentato l’esperienza dei registri di terapia intensiva neonatale, attivati oggi in Mozambico, Tanzania ed Etiopia, capaci di migliorare la qualità delle cure e di guidare il processo decisionale: «È uno strumento essenziale per standardizzare i dati, prevenire le principali cause di mortalità e accompagnare gli ospedali verso sistemi informativi elettronici».Serge Boni ha insistito sul valore del task shifting, strategia che assegna compiti clinici a personale non medico formato: «La mortalità materna e neonatale non è solo un problema sanitario, è un problema sociale. Per avere un impatto serve lavorare in sinergia con comunità, politica e sistema medico». Mario Merialdi ha infine illustrato OdonAssist, un dispositivo innovativo per il parto vaginale assistito: «È semplice da usare, non danneggia il bambino, ed è perfetto per le ostetriche che devono prendere decisioni rapide in contesti senza medici specializzati. È un sistema democratico, che funziona a Milano come a Wolisso». Ha poi lanciato un monito: «La tecnologia nella salute materno-infantile è ancora troppo guidata dai bisogni dei paesi ad alto reddito, mentre andrebbero ascoltate le esigenze di chi lavora ogni giorno nei contesti a risorse limitate».
Chiudere il cerchio: il sapere che serve
A concludere la serata, prima dell’intervento conclusivo del direttore del Cuamm don Dante Carraro, è stata la volta dei saluti di Alberto Mantovani, Direttore scientifico di Humanitas e membro dell’Accademia dei Lincei:
«Sono dispiaciutissimo di non essere potuto essere lì di persona” – ha detto Mantovani, in collegamento – “soprattutto dopo aver ascoltato gli interventi. In Africa ho imparato molto. Ho imparato una visione diversa della ricerca, più radicata nei bisogni reali. E ho capito che formazione e ricerca sono inseparabili. La prima senza la seconda si svuota, la seconda senza la prima si allontana dalla realtà».
Infine, don Dante:
«Oggi abbiamo parlato di cose importanti: giovani, ricerca, innovazione. Ma soprattutto, abbiamo ribadito una cosa semplice: per capire davvero i problemi, bisogna studiarli. E una volta studiati, bisogna impegnarsi per cambiare le cose. Non per pubblicare articoli, non per cercare fama. Ci interessa la pubblicazione perché deve essere un dato serio, per tutta la comunità scientifica, anche se viene da un paese africano a risorse limitatissime. Anche se arrivano da contesti fragili, con risorse minime. Anche se parlano di madri, bambini e pazienti lontani da qui. Anche se sembrano piccole cose».
In un mondo in cui i finanziamenti diminuiscono e le crisi si moltiplicano, continuare a costruire ponti tra il sapere e la pratica, tra le istituzioni e il campo, resta un’urgenza.
«Lo ha detto anche Papa Leone XIV: bisogna costruire ponti. E io sento che oggi, qui, un pezzo di ponte lo abbiamo costruito davvero. Perché crediamo che questo continente amatissimo, povero ma pieno di dignità, meriti tutto il nostro impegno».
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