Medici con l'Africa Cuamm

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Il Servizio Civile con parole “tue”

Tra Angola, Etiopia, Mozambico, Sierra Leone e Tanzania sono dieci i giovani impegnati per un anno nei nostri progetti. A sei mesi dall’inizio di questa esperienza, abbiamo chiesto a ognuno di loro di raccontarci come sta andando in una parola.

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    Sono dieci i giovani che quest’anno sono partiti insieme a Medici con l’Africa Cuamm per un’anno di servizio civile universale. Angola, Etiopia, Mozambico, Sierra Leone e Tanzania sono i paesi in cui stanno facendo un’esperienza di formazione, operando nell’ambito dei nostri interventi come assistenti di progetto, ostetriche, infermiere e addetti alla comunicazione. 

    A sei mesi dalla partenza, come sta andando la loro esperienza di servizio civile? In questi giorni sono tornati in Italia per le feste e così ne abbiamo approfittato per chiedere a Francesca, Matilde, Andrea, Marta, Anna, Rita, Tatiana, Chiara, Maria ed Elisabetta di raccontarcelo con una parola.

    A Chiulo, in Angola 

    “Katutu Katutu”, che in dialetto “ocinkumbi” significa “poco poco” è la parola scelta da Francesca Barberis, 24 anni, originaria di Villafranca Piemonte, in provincia di Torino, che è partita per Chiulo, in Angola, come assistente di progetto. «Katutu Katutu rappresenta questo periodo perché in un contesto complesso come quello di Chiulo bisogna saper prendere le cose “poco poco” alla volta, senza lasciarsi sopraffare così come senza aver fretta di fare. Qui le cose procedono con calma, si fa “poco poco” per volta ma si riescono a fare cose bellissime a dimostrazione del fatto che “poco poco” può comunque significare tanto».

    A Chiulo, con Francesca, c’è anche Matilde Lusiani, ostetrica 24enne di Padova. «La parola che rappresenta ciò che sto vivendo è “mais ou menos”, ovvero “più o meno”  in portoghese – dice Matilde –. Viene usata molto spesso come risposta un po’ a tutto, ma non in maniera approssimativa. Tutto può avere molte sfaccettature positive e se non è così va bene lo stesso. Qui nulla è certo, un orario, un giorno, un fatto. È tutto una sorpresa che dipende da infinite variabili e fattori. Come in tutti i contesti ci sono giorni più facili e giorni più difficili, che sono un po’ menos ma in cui alla fine trovi sempre anche del mais». 

     

      

    Tra Wolisso ed Addis Abeba

    Passando dall’Angola all’Etiopia troviamo Andrea Saltarello e Marta Marangoni, entrambi della provincia di Padova che stanno prestando servizio tra Wolisso e Addis Abeba, come assistenti di progetto.

    Ad Andrea, se ripensa ai mesi trascorsi finora, viene in mente la parola “ayzoh” che in amarico significa “ti auguro una pronta guarigione”. «Quando mi sono slogato la caviglia, mentre giravo in stampelle per l’ospedale dove lavoravo, ogni persona mi ripeteva questa e altre parole per augurarmi il meglio. Questo rispecchia l’attenzione per chi sta male che hanno le persone etiopi. Ci tengono a chiederti come stai, a pregare per il tuo bene e soprattutto a riempirti di cibo. Nella loro tradizione chi sta male ha bisogno di mangiare di più, quindi spesso in quei giorni colleghi ed amici venivano a trovarmi con qualcosa che avevano cucinato per me. Questa esperienza mi ha fatto avvicinare ancora di più alle persone con cui condivido molto tempo a cui mi sono affezionato».

    Per Marta, invece, l’Etiopia è meserete libs, in amarico “telaio”, uno strumento  molto utilizzato per la produzione di tessuti artigianali che sono una parte importante della cultura e identità etiope. «Il telaio rappresenta questi primi mesi di servizio civile perché sono stati mesi in cui mi sono messa pazientemente in ascolto e ad osservare. Mi sono data il tempo di capirmi e ho dato il tempo al contesto in cui ero di farsi capire e di accogliermi. Il telaio mi rimanda ad un’immagine di costruzione paziente, dove ogni filo (esperienza, relazione) si intreccia per creare qualcosa di nuovo e solido. Questi mesi qui sono stati proprio così: mi sono ritrovata a dovermi calare in tante situazioni diverse; mi sono dovuta dare il tempo per riuscire a farlo; ho dovuto scoprire e capire modalità nuove per farlo e non è sempre stato semplice. Il contesto e la città mi hanno richiesto il loro tempo per essere capiti, l’ambiente lavorativo nuovo mi ha accolto a braccia aperte e allo stesso tempo mi ha richiesto la pazienza di tessere piano piano per capire il mio posto in questo grande ingranaggio; idem le relazioni con i nuovi amici che ho trovato qua locali e non, colleghi, colleghe e persone fuori dall’ufficio. Sento che questi mesi, per tante ragioni, sono stati una costruzione paziente dove è stata messa cura, in cui mi sono sentita in un giusto equilibrio tra l’essere in ascolto e il capire quando era il momento di essere presente e attiva in prima linea. In cui – proprio come con un telaio – i fili da tessere sono molto fini e leggeri; ma il prodotto che ne viene fuori è solido e resistente; proprio come sento le relazioni e il piccolo pezzo di vita che sto costruendo qui».

    A Beira, in Mozambico 

    Un’altra delle destinazioni per chi ha scelto il servizio civile universale con Cuamm è il Mozambico. Qui, a Beira, sono impegnate Anna Wolghemut, 26 anni di Termeno in provincia di Bolzano, e Rita Sasso, 25 anni di Torre del Greco, in provincia di Napoli. «La parola che più rappresenta questa esperienza è “desafio”, sfida in portoghese – dice Anna – perché ciò che sto vivendo è una sfida sia professionale che personale». Per Rita, invece, il servizio civile a Beira è ‘partilha’, condivisione, sempre in portoghese: «  perché credo che la condivisione di conoscenze ed esperienze con colleghi e amici sia uno degli elementi che rendono il SCU un’esperienza davvero unica ed estremamente arricchente».

    Tra Dar es Salaam e Tosamaganga, in Tanzania 

    Tatiana Farsaci, 26 anni della provincia di Messina, e Chiara Bordignon, vicentina di 25 anni, lo scorso luglio sono partite rispettivamente come addetta alla comunicazione e assistente di progetto prestando servizio tra Dar es Salaam e Tosamaganga, in Tanzania, dove Cuamm lavora da oltre cinquant’anni per rispondere alle epidemie di Hiv e malaria, contrastare la malnutrizione infantile e per garantire la salute di mamme e bambini.

    “Maisha Marefu”, che in swahili vuol dire “lunga vita” è la parola scelta da Tatiana: « «È una frase che si dice durante i brindisi, con il significato di augurare una lunga vita. La ricollego ad un augurio per la ricerca delle cose belle della vita, un “porta fortuna”. Per me, ad esempio, essere arrivata in Tanzania con il servizio civile è stata una vera fortuna: sto avendo la possibilità di capire cosa voglio fare nel mio futuro, di imparare, confrontarmi con persone diverse, ascoltare storie nuove, prendere esempio dal vissuto e dall’esperienza degli altri. Vivendo qui, il termine “maisha marefu” lo associo anche alla ricerca di “speranza”: la possibilità di avere accesso a cure sicure, di mandare i propri figli a scuola, di essere felici per la pioggia che bagna i campi – dice Tatiana – È anche un augurio per chi è una risorsa da cui si può imparare ad agire nel modo corretto e, a sua volta, per chi sa insegnare a farlo nel modo giusto. Perché, alla fine, la speranza in una vita più lunga si ripone nelle mani delle persone che rimangono qui e che hanno in mano il futuro del paese. Il servizio civile mi sta dando l’opportunità anche di capire concretamente quanto sia importante credere nel proprio lavoro, non perdere la speranza di seguire i propri sogni e come anche un piccolo contributo possa essere l’inizio di un cambiamento».

    Per Chiara, invece, ha scelto un verbo in shwahili: “ota”, ovvero “sognare”. «Ricordo che durante una delle prime lezioni di questa nuova lingua stavamo imparando il lessico dei vari momenti della giornata, come alle elementari: “dopo colazione mi lavo i denti”, “prima di dormire mi faccio la doccia”, “dopo pranzo bevo il caffè”, “prima di svegliarmi? prima di svegliarmi sogno” – racconta -. Il servizio civile con il Cuamm mi sta dando la possibilità di vivere molti sogni da sveglia: viaggiare, incontrare persone nuove, imparare una lingua, una cultura, un mestiere. In questi mesi di esperienza ho scoperto la vastità del lavoro che il Cuamm fa non solo in Tanzania e mi sono sentita fortunata di farne anche solo una piccolissima parte. Uno dei vantaggi più grandi è che questi sogni non sono solo miei, ma di ogni mamma, ogni bambino, ogni anziano, ogni persona: Il CUAMM che ho visto ha regalato sogni a molti, fino all’ultimo miglio.

    A Pujehun, in Sierra Leone 

    Tra i profili sanitari selezionati per partire con Cuamm ci sono Maria Virtuoso, infermiera, 28 anni di Borgosesia, in provincia di Vercelli, ed Elisabetta Tuniz, ostetrica, di Udine. Entrambe, da inizio luglio, sono in Sierra Leone, nel distretto rurale di Pujehun. 

    Per raccontare la sua esperienza Maria ha scelto “kaigoma”, che in mende, la lingua parlata nel sud della Sierra Leone, e quindi anche a Pujehun, si usa per rispondere ” sto bene” a “come stai?”, tuttavia il suo significato letterale è “grazie a Dio”. «Per me, “kaigoma”, rappresenta una sintesi tra il senso di benessere e la consapevolezza del fatto che questo stato è un dono – spiega Maria – Ogni volta che uso questa parola mi ricordo che il bene non è mai completamente separato dalla gratitudine, soprattutto perché spesso durante la frenesia della vita ci dimentichiamo di essere grati e dare valore alle piccole cose: la salute fisica e mentale, i rapporti con le persone a cui vogliamo bene o anche solo una giornata trascorsa senza troppi problemi. Inoltre, il fatto che questa parola includa un riferimento a Dio la rende  universale e personale allo stesso tempo».

    Elisabetta, invece, ha scelto un proverbio, sempre in mende: “klo klo lϽ a nja ve”, che vuol dire “piccole gocce d’acqua formano un oceano”. «Questo proverbio ci dice che la nostra esperienza qui e il nostro lavoro quotidiano siano piccole gocce di acqua che a volte sembrano disperdersi in un vasto oceano. Non è sempre tangibile il risultato del lavoro svolto. Ma se ci si ferma a pensare, tante gocce di acqua sono proprio ciò che serve per formare l’intero oceano e così il nostro lavoro quotidiano che sembra così piccolo, può portare a grandi risultati se viene unito tutto insieme».