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Francesca e Benedict: due strade, una destinazione.

Francesca Cera ha 29 anni, è di Malo ed è specializzanda in Geriatria presso l’Università di Padova. Da marzo a settembre 2023 ha trascorso 6 mesi a Tosamaganga in Tanzania. È qui che ha conosciuto quello che è diventato un collega medico e, soprattutto, un amico: Benedict. È un racconto molto lungo, ma vale la pena leggerlo fino alla fine!

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    Francesca Cera ha 29 anni, è di Malo ed è specializzanda in Geriatria presso l’Università di Padova. Da marzo a settembre 2023 ha trascorso 6 mesi a Tosamaganga in Tanzania, grazie al progetto JPO. È qui che ha conosciuto quello che è diventato un collega medico e, soprattutto, un importante amico: Benedict.

    «Un ragazzo carino ed educato, con un bellissimo sorriso e due occhi scuri che riflettono la luce che ha dentro. Uno che non ama parlare e preferisce stare in silenzio e osservare, studiando la situazione e le persone attorno a lui. Uno che, però, sa dire le cose giuste al momento giusto, specie con i malati che ha davanti o quando ci sono da fare discorsi più impegnativi come educare i pazienti rispetto allo stile di vita e alle terapie o discutere con loro in merito a problemi personali».

    Così lo descrive Francesca che a Tosamaganga si divideva tra il lavoro in Reparto e quello nell’ambulatorio delle NCD’S (malattie non trasmissibili), in ospedale a Tosamaganga e nei centri di salute distribuiti su tutto il territorio rurale.

    «Siamo abituati ad associare l’Africa ai bambini, tantissimi, e alle donne, ma ci sono anche gli adulti e gli anziani e le malattie croniche, come il diabete e l’ipertensione, sono anche per l’Africa un problema serio – spiega Francesca –. Quando arrivi in Tanzania, per la prima volta, inevitabilmente vieni assalito da mille dubbi e ti chiedi: “cosa ci faccio qui?”. Ma presto capisci che il fatto solo di esserci, fa la differenza, specie perché un progetto come quello delle malattie croniche cambia davvero la vita e la quotidianità di un malato. Il tuo esserci, fa la differenza tra avere o no un ictus, per esempio. È un intervento, quello messo in atto dal Cuamm, che cambia la realtà anche se ancora tanta è la strada per far accettare alla gente il concetto di “malattia cronica”, di “cure per tutta la vita” in contesti come questo e per trovare i tanti malati che ancora non sanno di esserlo, perché mai testati per le malattie croniche.». E continua: «Ed è proprio a Tosa che ho conosciuto Benedict, un medico tanzano impiegato in ospedale. Abbiamo lavorato molto insieme, sia in reparto che inambulatorio. Classe 1995 lui, 1994 io. Lui di Ifunda, nel distretto di Iringa Rural, io di Malo, in provincia di Vicenza. Entrambi da zone periferiche, ci siamo messi in gioco e abbiamo scelto di diventare medici. Io dopo 6 anni di università, ero al mio terzo anno di specialità; lui, secondo l’iter della Tanzania, ha fatto 5 anni di studi di Medicina, poi 1 anno di interniship (un tirocinio pratico in ospedale) e infine il lavoro in ospedale a Tosamaganga, continua formazione sul campo, fatta anche assieme al personale Cuamm. Ogni giorno, 6-8 ore di lavoro fianco a fianco, in ospedale e nelle tante supervisioni nei centri di salute del territorio. Sempre insieme, per monitorare i pazienti, per controllare che mantenessero l’aderenza alla terapia e per fare formazione al personale sanitario dei diversi centri di salute. Lavorare insieme a Benedict, che è un medico tanzano e conosce bene la sua terra e la sua gente, mi ha dato molto. Anche solo il fatto che lui conosce la linguaSwahili parlata da tutti i pazienti ha reso tutto più semplice. Si è creato un rapporto di vera amicizia. In Benedict e in tutti i colleghi tanzani, ho trovato un’altissima competenza, sono molto formati e preparati per affrontare ogni situazione. In Tanzania un medico deve saper fare un cesareo, saper curare un bambino, occuparsi di ipertensione. Benedict poi è molto curioso e volenteroso, sempre pronto ad imparare qualcosa di nuovo, a studiare ed ad aggiornarsi. Tra noi si è creato un confronto costruttivo, un dialogo costante e ogni decisione veniva condivisa. Insieme si partiva dalla radice del problema e si trovava la soluzione, chiedendoci sempre “perché”. Siamo sicuramente cresciuti entrambi molto, lavorando insieme».

     

    La scelta di fare il medico è maturata in Francesca un po’ alla volta, fin dalle superiori, quando aveva una certa passione per le materie scientifiche e per il funzionamento del corpo umano. Ma il momento preciso in cui ha scelto che voleva diventare medico è stato quando suo nonno si è ammalato di tumore al pancreas. «Vedere mio nonno che nel giro di pochissimo da una vita normale, era costretto a casa, afflitto da molto dolore, era per me una situazione durissima. Non ci trovavo un senso. Mi sembrava troppo difficile stare vicino alla malattia e alla sofferenza. Ma poi ho capito che la malattia fa parte della vita, per tutti, e quindi bisogna saperla affrontare. Ho capito che fare medicina era un modo per stare vicino alla sofferenza delle persone, anche se continua ad essere la parte più difficile del mio lavoro», racconta Francesca.

    Anche per Benedict la strada è stata chiara e seguita con molta determinazione: «Benedict ha scelto Medicina spinto dal padre. In Tanzania quella del medico è una professione privilegiata. D’altra parte però per fare medicina devi essere uno studente modello, devi avere ottimi risultati e non tutti riescono. Benedict è il figlio più piccolo e, grazie ai sacrifici di tutti e alla sua determinazione, è riuscito ad andare all’università a Mwanza, che dista circa 14 ore di autobus da Iringa. Ora, per lui è un motivo di grande orgoglio e gioia lavorare a Tosamaganga. “Qui è casa mia”: mi diceva. Oggi Benedict, grazie a una borsa di studio del Cuamm, ha cominciato la specializzazione in Medicina interna, sempre a Mwanza. Davanti a sé ha un periodo di 3 anni in cui studierà e lavorerà, senza però percepire uno stipendio. Per questo è fondamentale il supporto del Cuamm, che gli ha permesso di proseguire nella sua formazione per diventare un medico migliore.  Salutandomi Benedict mi ha trasmesso tutta l’importanza di questo grande passo nella sua vita, perchè mi ha detto: “Non faccio la specializzazione per me, ma per la mia gente. Voglio formarmi e studiare per dare alla mia popolazione risposte e cure più professionali. Per migliorare la salute di chi mi è vicino”».

    E la loro strada continua, una in Veneto e l’altro in Tanzania. Entrambi medici, entrambi per il bene più prezioso: la salute di chi ti è vicino.

     

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