Una domanda lacerante perché continuare?
Di ritorno da una difficile missione in Repubblica Centrafricana, don Dante Carraro riflette sul perché portare avanti l’impegno verso i più vulnerabili. La risposta è nelle radici del Cuamm.
Carissime e carissimi,
nel baratro di guerra e distruzione in cui sta scivolando il mondo, in questo sentirci sempre più infragiliti e impauriti, mi scava in profondità una domanda: perché continuare nella strada dell’impegno verso i più poveri, in Africa, con l’Africa? Una domanda lacerante che ho sentito ancor più forte in questi ultimi giorni che ho passato in Repubblica Centrafricana.
Ritrovo la risposta nelle nostre radici. In quel Francesco Canova che ha saputo immaginare, sognare e fondare il Cuamm in mezzo alle macerie della seconda Guerra mondiale. Bambino durante la Grande Guerra, figlio di operai, studia con tenacia e si laurea grazie a una borsa di studio. Nel 1935, in un’Italia tormentata e umiliata dal fascismo parte per lavorare in un paese poverissimo e lontano, la Giordania. Torna nel 1947 e l’Italia è devastata. Eppure, tra rovine e macerie, riesce a trovare la forza di pensare all’Africa e di intravvedere un futuro diverso, di pace e di bene. Coinvolge il Vescovo di Padova e nel 1950 nasce il Cuamm. Uomo di grandissimo coraggio, non ha avuto paura delle guerre, delle povertà, delle macerie che aveva intorno a sé e ha coltivato, e realizzato, quel suo sogno, radicato nel profondo del suo animo.
Il suo esempio fa bene anche a noi, oggi, che viviamo questo tempo afflitto da scontri e ferite profonde e da profonda paura. Prima il Covid, poi la guerra in Ucraina, quella di Gaza, i missili nel Mar Rosso e l’attentato in Russia, otto colpi di Stato in Africa solo negli ultimi tre anni. Ma la lista potrebbe essere ancora più lunga.
La missione in Centrafrica, mi ha portato fino a Bossangoa, a 8 ore di macchina dalla capitale, davvero nell’ultimo miglio. Qui manca tutto, anche i pochi centesimi di euro per comperare un po’ di riso o qualche cucchiaio di farina al mercato. La gente fatica a fare un pasto al giorno, oggi ancor più di 3 anni fa. Le mamme non vanno a partorire in ospedale, perché non hanno quei miseri centesimi di euro che servono per pagare un trasporto, anche solo in motoretta, Eppure, quando come Cuamm abbiamo cominciato a garantire il trasporto gratuito, ecco che, nel giro di 3 mesi, il numero di donne che hanno partorito in ospedale è triplicato.
Un’area di 200.000 persone, un ospedale, quello di Bossangoa, di 120 posti letto. Ad esclusione della pediatria, gestita a parte da un’altra ong, il resto dell’ospedale è fatiscente. Non c’è una maternità. Il blocco operatorio è nudo e spoglio usato solo in caso di estrema necessità. Come Cuamm abbiamo preso l’impegno, con le autorità locali, di ricostruire ed equipaggiare la Maternità. Sono tre stanze distribuite una lontana dall’altra. Una stanza del travaglio, la sala parto, e quella post partum. Non c’è un abbozzo di neonatologia. Il direttore del distretto che ti dice: “Grazie per questa nuova maternità che verrete a fare. Ne abbiamo davvero bisogno. Per noi da soli è difficile”. E poi abbassa lo sguardo e con un po’ di imbarazzo continua: “avremmo bisogno anche di un piccolo generatore per il personale del distretto, senza non riusciamo a lavorare”.
Essere vicini a questa gente e ricostruire: sono la nostra vita. Lo vogliamo fare, come lo ha fatto Francesco Canova. È la nostra storia, di determinazione e tenacia incrollabili. Nella certezza che il Buon Dio per primo, prima di noi, ha a cuore i poveri e ci indica la strada.
Grazie di camminare al nostro fianco.
D.Dante