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Una parola gentile per combattere l’Hiv

Berta lavora da circa un anno come operatrice non qualificata al centro di salute di Ngokolo, nel nord della Tanzania. Il suo compito è quello di portare sostegno e aiuto ai malati di Hiv e li sprona a seguire la terapia in un paese in cui contrarre il virus si accompagna spesso alla vergogna e all’isolamento sociale

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    Berta è sieropositiva ma le cure che prende ogni giorno le permettono di condurre una vita comune. Da circa un anno ha anche trovato impiego come operatrice non qualificata al centro di salute di Ngokolo, nel nord della Tanzania. Il suo compito è quello di portare sostegno e aiuto ai malati di Hiv che sono ricoverati nelle due stanze della struttura e, per farlo, ha a disposizione un budget giornaliero di 12.000 scellini a paziente, circa cinque euro, con i quali organizzare colazione, pranzo e cena. Il sevizio degli operatori come Berta, però, è ben più articolato e profondo: tengono compagnia ai malati, li sostengono, li spronano a seguire la terapia in un paese in cui contrarre il virus si accompagna spesso alla vergogna e all’ isolamento sociale. Si rivela dunque impagabile il ruolo di chi riesce a farsi ascoltare dai pazienti che si sentono soli perché con loro condivide il destino. Berta vive a Ndembesi, a un paio di chilometri dal centro di salute, ha 46 anni e ha scoperto di essere sieropositiva nel 2011. «Quando la Croce Rossa mi ha diagnosticato la malattia mi sono sentita male, perché anche mio marito aveva gli stessi sintomi» racconta. «Il nostro unico figlio, però, è risultato negativo». Il marito ha cominciato le cure da subito, mentre Berta ha dovuto attendere quattro anni per essere ammessa al trattamento. «Seguire la terapia non è difficile, diventa una routine come tanti altri aspetti della giornata. Alle nove di sera, dopo la cena e prima di andare a dormire, si prendono le pillole. Tutto qui». Più complesso, invece, è relazionarsi con gli altri quando si rivela di essere malati. «In molti negano, non vogliono neanche cominciare le cure perché sanno che la società li rifiuta» spiega animandosi. «Invece è importante accettare se stessi e rendersi conto che si può vivere una vita felice anche con l’Hiv. Per questo mi sento in dovere di informare gli altri, convincerli, e far capire ai familiari di chi è malato quanto importante possa essere il loro sostegno. Chi è vicino al malato deve interessarsi, spendere una parola gentile, spingerlo a continuare la terapia anche quando torna a casa dall’ospedale. Ogni giorno, deve dire “Ciao, ti ricordi che è ora del trattamento?”». Il volto di Berta è reso duro dal tempo e dai capelli grigi tagliati molto corti, ma la sua espressione all’improvviso si addolcisce. «Anche mia nipote ha preso l’Hiv. Non c’era verso di convincerla a iniziare il trattamento anche se stava sempre male e ha avuto addirittura due aborti spontanei» racconta. «Così mi sono deciso e l’ho chiamata. Le ho parlato a lungo, l’ho informata, ho ascoltato tutti i suoi dubbi e ho provato a darle coraggio». Adesso la nipote segue le cure ed è diventata madre di due gemelli, un maschio e una femmina. La bambina si chiama Berta.

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