Antropologia la scienza che ci avvicina all’altro
Per vincere le sfide globali che ci attendono un aiuto concreto arriva dall’antropologia che ci accompagna nella comprensione del mondo in cui viviamo e permette una lettura della realtà che ci avvicina all’altro.

«Per capire meglio la realtà fate un passo indietro e osservatela con uno sguardo lontano. Capirete così che la diversità, in quanto tale, non può essere inferiore», scriveva il celebre antropologo Claude Lévi-Strauss.
Capire la diversità è parte integrante del nostro lavoro, perché ancor prima di offrire le cure sanitarie, è necessario interrogarsi su quali siano i bisogni delle popolazioni, conoscerle, con rispetto e ascolto.
Si scopre così che in un posto fertile come l’Etiopia, i bambini soffrono di malnutrizione e il problema non sta nella mancanza di ingredienti di base, ma nel fatto che si mangia tutti in unico piatto e i più piccoli rimangono indietro. La necessità di badare a famiglie numerose in cui accompagnare un figlio in ospedale significa lasciarne soli molti altri, o la volontà di partorire nella posizione tradizionale della propria popolazione preferendo stare nel villaggio piuttosto che in un centro sanitario sicuro sono solo alcune delle sfide che incontriamo sul campo: sfide culturali, che come medici in missione in un altro continente siamo chiamati a intraprendere.
Si tratta di un rapporto umano, fatto di osservazione e conoscenza, ma anche di un approccio professionale, quello dell’antropologia. «La potremmo definire la scienza che “toglie il velo” – dice Edoardo Occa, antropologo Cuamm in Mozambico – perché l’antropologia s-vela comportamenti da noi distanti e ci permette una lettura della realtà che ci avvicina all’altro».
È così che si studiano interventi sul campo mirati: un prototipo innovativo di cuscini che garantisca alle donne ugandesi di partorire in modo sicuro ma mantenendo le tradizioni; le visite mediche direttamente nei villaggi, per poter raggiungere tutti; la formazione alle mamme sull’importanza dell’alimentazione e la proposta che a dividere il pasto con i più piccoli siano loro.
Lo dicevano già Bonadio e Girardelli, medici Cuamm negli anni ’80, quanto sia «indispensabile aumentare il più possibile i canali di comunicazione reale con la popolazione locale, affinché questa sia la protagonista del proprio sviluppo (…) nel segno di un rispetto reciproco fra persone appartenenti a popoli diversi che lavorano e crescono insieme».
Uno “sguardo lontano” di osservazione dunque, che permette poi di andare vicino, capire, trovare soluzioni e portare aiuto nel modo in cui le popolazioni possono riceverlo. Nel nostro essere medici sul campo è forte questa vocazione alla conoscenza dell’altro, è parte del nostro spirito missionario e, ancor di più, di una visione umana anche della medicina e della cooperazione.
Ne parleremo anche il prossimo sabato 22 febbraio a Milano, dove si celebrerà l’Anthropology Day e come Cuamm faremo una riflessione su come “Combattere la malnutrizione favorendo un cambiamento culturale”.