Medici con l'Africa Cuamm

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Continuare a dare voce

A pagina 18 di È Africa (n. 1, aprile 2013) la testimonianza di Giovanni Dall’Oglio, medico Cuamm in Karamoja: in questa pagina il suo racconto completo

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    Il contesto

    Il difficile percorso intrapreso da Medici con l’Africa Cuamm per il rafforzamento dei sistemi sanitari, in linea con gli Obiettivi del Millennio, partendo dalle fasce più deboli e vulnerabili delle popolazioni africane quali mamme e bambini, si esprime in diversi modi. Oltre al classico intervento clinico e di management svolto dai volontari e cooperanti all’interno delle strutture sanitarie non a fini di lucro, da molti anni si esprime in forma di supporto tecnico alle direzioni sanitarie governative e, in generale, alla gestione della salute pubblica.
    In Karamoja Medici con l’Africa Cuamm è presente da tanti anni con entrambe i tipi di supporto, con generazioni di medici che si sono succedute nel supporto all’ospedale di Matany e nelle direzioni sanitarie.
    Ero già stato in Karamoja, per due anni tra il 1998 e il 2000, in un progetto di salute pubblica circoscritto al distretto di Moroto, che successivamente venne suddiviso in ben quattro degli attuali sette distretti della Regione. Un altopiano abitato da quasi 1.400.000 abitanti, per lo più pastori seminomadi, che fino a qualche tempo fa erano in perenne conflitto con le popolazioni dei territori limitrofi e tra le loro stesse otto tribù con un tributo devastante di vittime spesso innocenti coinvolti in queste guerre fratricide per il possesso del bestiame. Nello scorso decennio, il governo ha intrapreso un vigoroso programma di disarmo denunciato più volte da Amnesty International per abusi subiti da queste popolazioni alla ricerca dei Kalashnikov, una volta compagni irrinunciabili di tutti ikaramojong, un giorno pastori e il giorno successivo guerrieri con consolidate capacità di guerriglieri e di sopravvivenza, in questo contesto ambientale estremamente difficile, specie per i militari chiamati da altre parti del paese a dettar legge.


    Il progetto

    Dal 2007 sono stato richiamato qui in un progetto di ampio respiro regionale consistente nel supporto alle direzioni sanitarie dei sette distretti, finanziato da Unicef. Un progetto che nei prossimi due anni proseguirà ancora per consolidare la “capacity” nei posti chiave del management sanitario locale.
    Il nostro progetto interessa un territorio molto vasto ed è in perfetta sintonia con il programma “Prima mamme e i bambini“.
    Nonostante tutti gli sforzi compiuti, ogni mese qui continuano a morire 440 bambini sotto i cinque anni di vita, a causa di malattie prevenibili e curabili, stimati su una popolazione mensile di nati vivi di 5.175 unità. E poi il dato relativo alla mortalità delle mamme, considerato l’indicatore più appropriato per monitorare lo stato di efficienza, efficacia ed equità dei sistemi sanitari, che con i 750 decessi ogni 100.000 nati vivi tuona nella coscienza, e non solo, degli addetti ai lavori, quando paragonato con il resto del paese , (438/100.000), ma ancora di più con quello dei paesi sviluppati come l’Italia: 4/100.000, ossia 188 volte più basso!
    Le energie dei miei quattro colleghi ugandesi, che a breve saliranno a sette, e le mie si concentrano nel mantenere saldo un ruolo in prima linea supportando, da una parte ciò che è possibile fare, ma al tempo stesso denunciare, dati alla mano, tutti gli abusi e la mala gestione che ancora affligge il sistema sanitario. Un ruolo molto delicato e complesso perché fondato innanzi tutto su principi quali l’onestà, la coerenza professionale e l’etica, indispensabili per tenere aperte le porte di questa collaborazione con le direzione sanitarie. In una realtà in cui la scarsa scolarizzazione pesa sulla consapevolezza dei nativi riguardo il proprio diritto alla salute, il nostro ruolo di advisors (consulenti), si esprime anche come capacità di dare voce alle istanze dei più poveri e di coloro che a tutt’oggi non hanno accesso alla salute.


    Continuare a dare voce

    Era il 15 luglio scorso, domenica pomeriggio, quando arrivo all’ospedale regionale di riferimento di Moroto. Una signora di mezza età si avvicina alla jeep che guidavo e, disperata, mi dice che suo nipote di appena 11 mesi le sta morendo tra le braccia.
    Nonostante non abbia alcun potere di comando in questa struttura sanitaria, direttamente gestita dal ministero della Salute, che sulla carta dovrebbe rappresentare l’eccellenza dei servizi sanitari e specialistici per la regione, mi attivo per capire come sia possibile che quella creatura, estremamente anemica e già incosciente per una malaria all’ultimo stadio, sia abbandonata in quello stato.
    Sfruttando la mia autorevolezza di medico e parte del Distrit Health Team parlo con l’unico medico presente nel nosocomio. Mi informa che, purtroppo, al momento nell’ospedale mancano sia sangue che ossigeno, e quindi non resta che cercare di raggiungere in tempo l’ospedale distrettuale di Matany, a 36 chilometri.
    A rendere ancora più difficile la situazione è l’assenza dell’ambulanza, perché utilizzata dal direttore dell’ospedale per raggiungere la capitale e partecipare ai continui corsi e meeting che lo tengono lontano da quello che sarebbe il suo posto, per onorare le responsabilità legate al suo ruolo.
    È evidente che scontrarsi, in modo così drammatico, con tanta mala gestione e negligenza è sconcertante e annulla ogni speranza. Tuttavia le situazioni al limite sono quelle che possono far scattare la reazione e la speranza di cambiamento. Così, mentre aspetto che la mamma raggiunga, con il suo piccolo, la mia Land Cruiser di progetto, mando un messaggio sms forte al direttore dell’ospedale, in copia al direttore sanitario distrettuale e quello amministrativo, nonché al responsabile d’area del ministero della Salute, denunciando questo ennesimo disservizio, con esiti devastanti nei pazienti.
    La corsa all’ospedale di Matany e le cure prontamente erogate non furono sufficienti. All’una di notte il piccolo si spegneva e la catena di sopravvivenza di cui vogliamo farci carico nuovamente spezzata.


    Gli occhi di una mamma

    La foto che ho scattato appena raggiunto l’ospedale di Matany, ritrae la mamma e il suo bambino,e con in mano la lettera di riferimento, stilata appunto nell’ospedale di Moroto.
    Questo non per provare ciò di cui ero testimone o per intraprendere un procedimento legale verso i responsabili di questa morte innocente, ma perché gli occhi di quella madre tuonano nella coscienza di chi ha ruoli di comando molto più di qualsiasi parola.
    Ho avuto non pochi problemi, dopo quell’atto di denuncia pubblica di mala sanità, ma alla fine le cose si sono aggiustate e coloro che hanno avuto responsabilità nella vicenda sono stati allontanati.
    Questo è un ruolo di cui i medici del Cuamm devono talvolta farsi carico, con diplomazia e astuzia, ma anche determinazione e coraggio quando serve.


    Giovanni Dall’Oglio – aprile 2013