Nel cuore dell’Angola
A causa della siccità le popolazioni del Namibe vivono in condizioni di grave insicurezza alimentare. Qui le cliniche mobili del Cuamm raggiungono le comunità più isolate per garantire screening nutrizionali e visite prenatali.

L’acqua si vede solo pochi mesi l’anno, la terra è troppo arida per coltivare. É dura ma noi restiamo qui. Anche se il centro di salute è piccolo, le cliniche mobili che arrivano una volta al mese ci permettono di far visitare i bambini, vaccinarli e sapere se stanno bene» sono le parole di Antônia Paula, madre di sette figli che incontriamo a Kwuiti Kwuiti, nel cuore del Namibe.
Secondo gli ultimi dati diffusi da Fews Net– il sistema di allerta precoce della carestia, la situazione è preoccupante. L’Angola si trova infatti nella fase 3 dell’Ipc, lo strumento per valutare con precisione la gravità delle situazioni di insicurezza alimentare e di malnutrizione acuta.
Calcolata secondo precisi standard riconosciuti a livello internazionale, la fase 3 di crisi acuta è definita dal difficile accesso delle famiglie al cibo, con un conseguente aumento dei livelli di fame. In alcuni casi, invece, il fabbisogno alimentare è soddisfatto ma solo esaurendo i beni di sostentamento. Dover mettere qualcosa nel piatto ogni giorno è difficile per Antônia come per tante altre famiglie che in questa zona vivono di pastorizia e di quel poco che la terra, asciutta per gran parte dell’anno, offre.
Situata nell’estremo sud dell’Angola, la provincia del Namibe è tra le più colpite dalla secca che ha messo in ginocchio il paese. Sei stagioni delle piogge con precipitazioni sotto la media hanno compromesso i raccolti, ormai insufficienti e minacciato le opportunità di guadagno di quanti si affidano alla terra per poter coltivare il cibo necessario per sé e la propria famiglia. Sono principalmente gli uomini e le donne dell’etnia mumuila ma la siccità minaccia anche i pascoli dell’etnia nomade dei mucubal.
«Le comunità del Namibe sono nicchie ecologiche fragili, sempre più a rischio ed esposte all’impatto di quella circolarità espressa dal concetto di One Health. Per rispondere in modo efficace dobbiamo riconoscere l’interdipendenza tra crisi ecologica e salute quindi, adottare un approccio strategico e interdisciplinare» ha detto Edoardo Occa, antropologo esperto di salute comunitaria aggiungendo «la strategia dell’out-reach, che le cliniche mobili permettono di implementare, diventa essenziale in questo contesto in cui solo adattando le necessità del sistema sanitario a quelle delle comunità è possibile aumentare davvero l’accesso ai servizi».
Qui, da maggio 2023, 8 cliniche mobili del Cuamm si sono spostate ogni mese raggiungendo 9 comunità dislocate tra i comuni di Virei e Caindi. Screening nutrizionali, visite prenatali, sessioni di sensibilizzazione ed educazione alimentare sono le attività principali offerte dall’equipe. «Si lavora a supporto di popolazioni che, anche a causa delle condizioni ambientali, sono sempre in movimento – ci dice Rossella Corrà, responsabile di progetto. La sfida più grande è quindi garantire un follow-up, sia nelle visite pre-natali che nel trattamento contro la malnutrizione».
Con l’utilizzo della ficha de transferência – una sorta di libretto sanitario – i team delle cliniche riescono a monitorare i casi di malnutrizione rilevati sul campo e garantire l’aderenza al programma terapeutico anche nei pazienti in movimento ma l’insicurezza alimentare non è la sola difficoltà che le equipe Cuamm affrontano. In queste zone, dove i servizi sanitari sono insufficienti se non del tutto assenti, anche garantire la salute materna è una sfida. L’ospedale di riferimento, quello di Virei, si trova infatti ad un’ora e mezza di auto dalla più vicina comunità di Kwuiti Kwuiti e a circa 3 dalla più isolata Tchacuto, comune di Caindi. È lì che le donne possono accedere ad un parto sicuro ma raramente si incamminano verso la struttura.
«Durante le visite pre-natali raccomandiamo sempre alle donne di avvicinarsi all’ospedale quando il termine sta per scadere ma non sempre lo fanno. Le distanze sono lunghe e la convinzione di non aver bisogno di un parto assistito è ben radicata nella loro cultura. Cerchiamo di fare il possibile per far capire loro che partorire con il supporto di professionisti sanitari è importante per rispondere tempestivamente a possibili complicazioni» spiega Gelssica Chimanda, infermiera Cuamm.
Da maggio 2023, sono 77 le sessioni di sensibilizzazione ed educazionale alimentare realizzate dalle cliniche mobili a cui hanno preso parte 4.604 persone; 383 le visite prenatali fatte nelle 9 comunità nell’ambito del progetto KUPE – Kilonguela pala ekongoko ovvero “educare per la salute” in lungua kuvale. L’intervento, supportato dall’ Istituto Camões è realizzato in collaborazione con l’Ong portoghese Fec.