Chiulo, Angola, novembre 2015
di Federica Laterza, Junior Project Officer

 

A pochi metri dall’ospedale, durante una delle mie prime passeggiate tra capanne e baobab, scorgo un gruppo di donne sedute per terra di fronte ad una costruzione in mattoni, che porta in cima una scritta: casa de espera.

È la casa delle donne in attesa di partorire. C’è chi intreccia fili di paglia per costruire cestini, chi lavora ciocche di capelli crespi di bambino per crearne splendide treccine, chi cerca di accendere un falò per riscaldare un po’ di riso o cuocere una coscia di gallina.

Non è facile per queste donne accettare di lasciare il proprio villaggio, la propria famiglia, per trascorrere qui l’ultima parte della loro gravidanza. Ma le distanze da queste parti sono rese enormi dalla mancanza di mezzi e dalle pessime condizioni stradali. Sarebbe troppo rischioso tornare a casa per una donna che potrebbe aver bisogno di cure immediate e che potrebbe partorire da un momento all’altro.

Qui si sentono al sicuro, sanno che possono contare sull’aiuto delle ostetriche, del medico e dell’amministratore di paese, che si occupa di rendere il più confortevole possibile la loro permanenza, in un posto dove avere a disposizione anche solo luce e acqua è una vera impresa.