Lui, Sud Sudan, ottobre 2013

di Rinaldo Bonadio, medico

Mi chiamano in maternità. Hanno portato una donna gravida con prolasso di cordone. Viene da Amadi, un centro a circa 15 miglia a nord di Lui. Mentre mi reco in ospedale penso: quale possibilità ci può essere che il bambino sia ancora vivo dopo un viaggio così lungo?

In sala parto c’è Tabu la nostra ostetrica più giovane, in attesa anche lei del suo secondo figlio. La donna è sul lettino con il cordone prolassato verniciato di meconio che, come si sa, è un segno di sofferenza fatale.

Di prassi lo prendo tra le dita, sicuro di constatare il decesso e, invece, con mia grande sorpresa, sento che c’è ancora una flebile e rapida pulsazione, il che significa che il bambino è vivo.

A quest’ora in ospedale non c’è ancora nessuno e ci vorrà del tempo per allestire la sala operatoria, ma non disperiamo. Mentre operiamo, concitati per la fretta, mi viene spontanea una preghiera:

«Signore, noi la nostra parte la stiamo facendo tutta, adesso Tu fai la tua!». Estraggo il bambino che non dà segni di vita, ma ecco improvvisa una piccola bollicina d’aria esce dal naso: respira. Poi l’ostetrica lo rianima prontamente, portandolo definitivamente fuori pericolo.

Mentre completo l’operazione mi complimento con lei: questo può senz’altro essere considerato un grande successo per un’ostetrica.

(brano tratto da èAfrica n.4  2013)