Cuamm Piemonte

la salute è un diritto, battersi per il suo rispetto è un dovere

Paolo Rumiz a Biella: le foto, l’intervista e la rassegna stampa

Una intensa serata, quella vissuta in compagnia del giornalista viaggiatore Paolo Rumiz sabato 17 dicembre a Biella. Ecco le foto e i video dell’incontro, la rassegna stampa ed un’intervista pubblicata dal bisettimanale “Il Biellese”.  Grazie a tutti coloro che, partecipando all’incontro di sabato, hanno contribuito alla sua buona riuscita. Grazie anche a tutti quelli che

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    Una intensa serata, quella vissuta in compagnia del giornalista viaggiatore Paolo Rumiz sabato 17 dicembre a Biella. Ecco le foto e i video dell’incontro, la rassegna stampa ed un’intervista pubblicata dal bisettimanale “Il Biellese”.
     
    Grazie a tutti coloro che, partecipando all’incontro di sabato, hanno contribuito alla sua buona riuscita. Grazie anche a tutti quelli che hanno reso possibile la serata: la Fondazione Cassa di Risparmio di Biella, la Fondazione Maria Bonino, Città Studi, La Feltrinelli e i volontari di Cuamm Piemonte.

    Di seguito alcune foto dell’incontro (oppure a questo link):
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    Italiani che si curano dell’Africa
    su “La Nuova Provincia di Biella” del 17 dicembre 2011


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    L’Italia dei piccoli profeti
    Intervista a Paolo Rumiz per “Il Biellese”
    su “Il Biellese” del 16 dicembre 2011

    >>Scarica l’intervista in pdf

    «Di Maria Bonino ho letto alcune lettere che ha inviato dall’Africa. Lettere straordinarie che indicano una dedizione, per me, così ammirevole da essere irraggiungibile. Persone come lei sono testimoni a tutti gli effetti». A parlare è il giornalista scrittore Paolo Rumiz che alla pediatra di Biella – morta il 24 marzo 2005 a Luanda, in Angola, colpita dal virus di Marburg – ha dedicato il suo ultimo libro, “Il bene ostinato”. Lo presenterà domani sera a Biella.

    Sarà a Biella per presentare “Il bene ostinato”. Ma qual è il bene ostinato?

    È la positiva ostinazione di un plotone di medici e infermieri che hanno resistito, appunto con ostinazione, a tutte le difficoltà che l’Africa ti mette in mezzo. Ma anche a quelle difficoltà che l’Italia ti mette in mezzo con la sua diminuita capacità di guardare al resto del mondo. È una ostinazione di gente che ha fatto miracoli nonostante l’evidenza che comunque le cose non possono migliorare. Ma anche nella certezza che in assenza di questi interventi tutto sarebbe peggio. Sono eroi capaci di resistere anche alla delusione perché quello è un cammino costellato da difficoltà e delusioni.

    Tra questi medici c’è anche la pediatra di Biella morta in Angola mentre cercava di salvare i suoi pazienti. Che cosa conosce di Maria Bonino?

    Di lei ho letto alcune lettere che ha inviato dall’Africa. Lettere straordinarie che indicano una dedizione, per me, così ammirevole da essere irraggiungibile. L’Italia è piena di questi piccoli profeti che poi scompaiono senza lasciare traccia sui giornali e sulle televisioni che si occupano di ben altro. Persone come lei che sono testimoni a tutti gli effetti. Non capisco perché non si debba dare a persone così un risalto almeno simile ai nostri uomini che cadono in Afghanistan. Chi va in guerra mette in conto il fatto di dover morire, chi va a salvare delle vite chiaramente mette in conto questa realtà molto di meno. C’è una componente di sacrificio infinitamente superiore in chi, come Maria Bonino, è intervenuto in questi luoghi per aiutare la gente.

    Come ha incontrato queste figure di medici?

    Non volevo occuparmi né di Africa né di organizzazioni non governative (Ong) ma i casi della vita me li hanno fatti incontrare. Tra l’altro l’intermediario è stato Guido Bertolaso che aveva di loro un’immensa stima. Loro cercavano qualcuno per celebrare i 60 anni di attività, ma non si pensava minimamente di costruire un vero libro che andasse in una collezione di narratori. Si pensava di fare un riassunto della loro storia. Quando li ho incontrati mi sono trovato davanti a qualcosa di talmente fantastico, di talmente inatteso… Era un’Italia di cui non si parlava. Un’Italia efficiente, un’Italia che usava il suo denaro non per mantenere se stessa, ma veramente per investire denaro sul campo. Un’Italia di coraggio. Un’Italia capace di sognare. E soprattutto un’Italia lieta. In questi uffici, in questo quartier generale del Cuamm di Padova ho trovato un clima che mi ha sedotto e mi ha fatto abbassare tutte le mie resistenze. Non avevo tempo per scrivere, ma l’ho trovato. E poi mi sono fatto rapire dai racconti di vecchi medici già in disarmo, in pensione, che mi raccontavano le loro storie. Ed anche dai giovani appena partiti, giovani coppie che hanno fatto i figli in Africa. Un mondo assolutamente ignorato dai media. Mi ha colpito come il Cuamm non sia soltanto uno “spedizioniere di anime viaggianti”, ma anche “un’agenzia matrimoniale”, nel senso che molti di questi medici sono coppie che – proprio nel momento in cui normalmente la coppia si chiude per fare casetta – loro mollavano tutto, lasciavano probabilmente anche un lavoro sicuro, per andare a impegnarsi fuori. E il motivo principale di questa scelta così inattesa, così fuori schema, così poco italiana (la casa, la mamma…) era il desiderio di uscire da un sistema di vita malato. Era il desiderio di dare ai propri figli degli orizzonti nuovi, dei valori nuovi per poi rientrare in Italia e battersi per qualcosa di diverso.

    Che insegnamento ha ricevuto?

    Il grande insegnamento del Cuamm non è quello di aver fatto qualcosa con o per l’Africa, ma di aver sperimentato una sanità leggera, infinitamente poco costosa ed infinitamente efficiente e umana che, se applicata al pianeta Italia, specialmente in questo momento di crisi, ci sarebbe immensamente utile. Purtroppo gli uomini che si sporcano le scarpe, i medici che si sporcano le scarpe, anche i preti che si sporcano le scarpe nel fango del mondo non sono gli stessi che poi ci governano. Noi abbiamo una bella Italia che se ne va. E va perché non tollera più l’andazzo di questo Paese, ma quando torna non viene apprezzata, non viene raccontata, non viene soprattutto usata per fare un Paese migliore.

    È l’Italia anche dove – così dicono- la cattiva notizia fa aumentare le vendite…

    La cattiva notizia fa vendere? Più che far vendere, la cattiva notizia è più facile da scrivere. Una buona notizia, è più difficile. Però è anche vero che noi abbiamo urgente bisogno di buoni modelli. A che cosa serve allora questa manovra, il tirare la cinghia se poi i soldi vengono spesi male, non costruiamo una nuova moralità, una nuova cultura del bene? Quest’esperienza africana è una straordinaria sperimentazione di tutto questo.

    Che cosa le ha dato l’incontro con l’Africa?

    A livello personale, io che sono abbastanza mangiapreti, ho trovato una banda di preti incredibili, anche di vescovi. Se potessi prendere tutta questa masnada di uomini di Dio e li potessi trasferire nelle parrocchie italiane o in Vaticano… forse avremmo una Chiesa meno asfittica, meno lontana dal mondo. Mi sono avvicinato a queste figure e ho avuto una importante conferma della necessità di essere in qualche modo “pescatori di uomini”, cioé di essere un po’ meno chini sui nostri telefonini e i nostri computer per incontrare un po’ di più la gente che passa per la strada. E tutto quello che avviene in Africa accade sulla strada, mentre per me la strada è soltanto un canalone dove andiamo e veniamo di fretta. La strada come luogo di incontro, relazione, scambi, convivialità… Ciò va recuperato assolutamente e l’Africa, in questo senso, ti dà una potente spinta.

    Questa esperienza come ha cambiato la sua vita quotidiana?

    C’è una maggiore consapevolezza di una identità cristiana. Quando tu trovi in Etiopia gli stessi simboli di legno… questa idea della Croce che è come un albero che cresce dalla terra; come l’albero ha i rami che guardano verso il cielo, ha le radici aggrappate alla terra… Quest’idea della Croce simbolo forte, fortissimo – identico dall’Equatore fino alla Siberia – ti dà l’idea della potenza di questo messaggio che ha saputo resistere a differenze di civiltà, di clima e di cultura gigantesche. Ti dà l’idea che duemila anni fa dev’essere successo qualcosa che ha fatto un botto tremendo nel mondo mediterraneo e anche più in là.

    SUSANNA PERALDO
    susanna.peraldo@ilbiellese.it

    Video
    (special thanks goes to Lorenzo D’Amelio)
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