“Il presepe biellese”. Un regalo di Paolo Rumiz
Il regalo che Paolo Rumiz ha fatto a tutti noi è nato dal suo soggiorno nelle prealpi biellesi il 17 e 18 dicembre scorsi, a seguito della presentazione del libro “Il bene ostinato”. Con enorme piacere ripubblichiamo qui l’articolo scritto per Repubblica Sera. Il regalo che Paolo Rumiz ha fatto a tutti noi è nato
Il regalo che Paolo Rumiz ha fatto a tutti noi è nato dal suo soggiorno nelle prealpi biellesi il 17 e 18 dicembre scorsi, a seguito della presentazione del libro “Il bene ostinato”. Con enorme piacere ripubblichiamo qui l’articolo scritto per Repubblica Sera.
Il regalo che Paolo Rumiz ha fatto a tutti noi è nato dal suo soggiorno nelle prealpi biellesi il 17 e 18 dicembre scorsi, a seguito della presentazione del libro “Il bene ostinato”. Con enorme piacere ripubblichiamo qui l’articolo scritto per Repubblica Sera:
(photo: Cristiano Deana)
Terza domenica di dicembre. Prealpi biellesi, freddo crudo, cielo color topo e Natale nell’aria.
Dai cocuzzoli della cintura morenica la vista spazia sull’orizzonte libero, una finestra sottile fra la pianura e lo strato di nubi. Il cielo è giallo a Sud, in fondo a quella fessura.
Da Camandona, alta come un ponte di comando, par di toccare il Monferrato e l’inizio dell’Appennino. Vedi il Sesia e il Cervo serpeggiare verso le risaie della Mesopotamia d’Italia.
Alle spalle, le fondamenta del Rosa. Immense, himalaiane, coperte di mezzo metro di farina dai mille in su. L’inverno è arrivato, in silenzio.
Foglie secche e neve gelata, il bosco scricchiola sotto le scarpe. Traversata per sentieri verso Andorno Micca e l’abbazia di Mazzocco, solitaria tra le querce. Non c’è nessuno ad aprirla. Un tempo qui correva l’avamposto cattolico contro i protestanti svizzeri.
Santuari come fortezze, preti da battaglia, un’etica forte. Oggi non ci sono quasi più sacerdoti, i pochi rimasti devono correre da una parrocchia vuota a un’altra. In basso, verso Biella e nella valle Strona, le fabbriche del tessile chiuse; monumenti di archeologia industriale di una bellezza severa unica in Europa, intatte e piene di fantasmi.
Sembra preistoria e invece è cosa di pochi anni fa. Ieri queste montagne erano la forza motrice dell’industria manifatturiera italiana. Oggi l’Italia ha perso le mani, senza nemmeno sentire dolore.
Eppure, che incanto. Montagna più vera qui che a Courmayeur o Cortina. Terra italiana senza fronzoli. Il tempo è fermo al Risorgimento, il telefonino non prende.
A Callabianca profumo di brasato dalla locanda L’Erbavoglio. Veranda piena di luce, due sorelle giovani vestite di nero al bancone. Brina sui campi. Un cartello dice: “presepe meccanico”. Ci vado, sono ottocento metri a piedi. Piemonte e Lombardia sono, col Napoletano, lo spazio dei presepi più belli. Collezioni incredibili, nel retrobottega di fabbri e falegnami.
Sono in una terra di sacre rappresentazioni. Sul monte di Varallo, poco più a Est, ne hai l’apoteosi, in grandezza naturale. L’auto-celebrazione delle confraternite dei mestieri, il segno di una montagna abitata, ricca e creatrice.
Il presepe meccanico occupa una chiesetta di dieci metri per cinque, già sulla porta ne avverti il ticchettio. Omini meccanici in movimento, sempre più piccoli verso il fondale dipinto con montagne di neve, per aumentare il senso dell’immensità.
Rimestar di polenta, zappare, piallare, mungere, infornare, tingere, filare, porte e finestre che si aprono e chiudono. Il macellaio Gino Vercellotti è lì che se lo rimonta ogni anno, sempre con nuove varianti, e poi sta lì, gratis, a far da custode e guida. Non glielo fa fare nessuno. Ha mani come badili. Con i soldi delle offerte ha rifatto il tetto della chiesa.
La politica ha dimenticato le Alpi, lui tiene duro. Religiosità? Non so. Sarà anche nostalgia di un mondo più attivo e frugale, di una montagna più alacre e viva.
Ma io, lì, al freddo, nella chiesetta di Callabiana, ho sentito il Natale meglio che nelle cattedrali.
18.12.2011 Paolo Rumiz
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