Cuamm Trentino

la salute è un diritto, battersi per il suo rispetto è un dovere

Etiopia Andrea Pedot ci racconta la sua esperienza a Wolisso

Andrea Pedot è un ragazzo di Trento che frequenta il quinto anno di Medicina e Chirurgia dell’Università di Padova.

Attraverso la collaborazione tra il SISM (Segretariato Italiano Studenti di Medicina) e Medici con l’Africa Cuamm è nata un’iniziativa, ormai consolidata, che permette agli studenti di medicina di vivere un’esperienza estremamente formativa della durata di un mese in Africa per permettere loro di guardare da vicino e toccare con mano la realtà sanitaria Africana. Andrea è stato a Wolisso, in Etiopia, regione dell’Oromia nell’Ospedale di St. Luke dove il Cuamm è presente da circa venti anni. Il gruppo trentino contribuisce al sostegno di questo ospedale grazie ai propri sostenitori e ai contributi pubblici della Provincia Autonoma di Trento.

Condividi con i tuoi amici!

In un mese non c’è tempo di immergersi fino in fondo in un luogo. Non c’è tempo di capirne i meccanismi, né di conoscere le persone che ci vivono fino a chiamarle vecchi amici. Tuttavia, non è di certo inutile. Quando a inizio maggio 2021 sono partito per l’ospedale di Wolisso, in Etiopia, con il bagaglio di uno studente di medicina del quinto anno, non mi aspettavo di certo quello che avrei trovato.

Era un periodo caldo per vari motivi, dall’ondata di COVID che stava investendo il distretto all’aggravarsi della situazione politica in vista delle elezioni. Le difficoltà erano all’ordine del giorno, dal reperire i reagenti alla frustrazione nel non riuscire ad avere diagnosi chiare. In università dei contesti a risorse limitate si sente parlare di tanto in tanto, ma vedere con i propri occhi le condizioni in cui versa un Health Center (Centro di Salute) a qualche ora di macchina dall’ospedale di riferimento fa tutto un altro effetto. Ho avuto l’opportunità di visitare un Centro di Salute perché nelle due settimane ho ruotato su due reparti: prima la medicina interna, che ricovera pazienti dai 5 anni in su, poi l’area di salute pubblica, che si occupa di supervisionare e pianificare le attività di una decina di progetti attivi sia nel distretto che nell’ospedale stesso.

In questa esperienza ho vissuto tre storie che vorrei condividere: la prima è di un ragazzo qualche anno più giovane di me che ho visto entrare con un gran mal di testa e peggiorare nell’arco di una settimana, mentre veniva trattato per una meningite. Una mattina, arrivati dei farmaci per sedarlo, siamo riusciti a fare una puntura spinale, da cui è uscito un campione di liquido cristallino. È morto qualche ora più tardi, senza una diagnosi, eppure si trovava nel centro più qualificato che poteva permettersi. Una grande differenza rispetto al nostro contesto sanitario, dove l’assistenza sarebbe probabilmente bastata a cambiare le sorti. C’è però in queste disgrazie una parte educativa, la possibilità di imparare qualcosa, di guardare le proprie aspettative attraverso situazioni inaspettate per capirsi meglio. Probabilmente è per questo che, come studenti, vivere queste esperienze è un passo fondamentale nella formazione professionale.

L’area di salute pubblica non è stata più leggera. Medici con l’Africa Cuamm ha una presenza stabile nell’area da più di un ventennio, con una serie di progetti che hanno contribuito a migliorare l’ospedale e più in generale la salute delle persone che abitano nel distretto. Tuttavia, una nobile missione e delle buone intenzioni a volte si scontrano con la difficoltà di implementarla nella pratica di tutti i giorni. È la storia di tutti i giorni nei centri di salute periferica, dove abbiamo analizzato i registri per vedere cosa succedeva, per scoprire che quasi tutti i piccoli pazienti tornavano a casa con la prescrizione di un antibiotico. A volte non ci sono altre armi terapeutiche che si possono usare e quando una giovane mamma si reca in un centro di salute, magari distante, per via di un figlio che sta male si aspetta che questo venga trattato comunque con un antibiotico. Queste attese si scontrano però con il rischio di sviluppare ceppi di infezioni resistenti, fino a quando gli stessi antibiotici non funzioneranno più, con un inevitabile aumento della mortalità per malattie altrimenti curabili. Fare di più non per forza è fare meglio. Probabilmente è per questo che, come medici in formazione, è un passo fondamentale vivere queste esperienze.

Purtroppo in un breve resoconto non c’è spazio per raccontare di quelle che invece sono state le soddisfazioni e le gioie, dal veder andare a casa pazienti finalmente guariti, a quelle più effimere come un bicchiere di vino e una pasta alla carbonara con il guanciale arrivato dall’Italia. A condividerle con me c’era un gruppo di espatriati da tutta Italia, dai medici più anziani che mi hanno guidato ai loro giovani colleghi, con cui ho condiviso quasi tutti i momenti nelle giornate. Oltre alla parte di servizio e di aiuto in reparto ce n’è una di scoperta dell’Etiopia e della sua cultura. Contro il rischio di vedersi solo come medici la soluzione è stata un weekend passato a visitare le chiese scavate nella roccia a Lalibela con una guida che ci ha accompagnato per raccontare le tradizioni del posto, accompagnarci al mercato e guardare con noi i tramonti sull’altipiano per cui è così famoso il posto.

Probabilmente è per questo che, come persone, è un passo fondamentale vivere queste esperienze. C’è una bellezza nascosta in Africa, fuori ancora dal turismo mordi e fuggi, che merita di essere vissuta.